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Oppo: «Basta, non sarò più l’eterno secondo»

di Gianna Zazzara
Oppo: «Basta, non sarò più l’eterno secondo»

Il canottiere oristanese riprende gli allenamenti in coppia con Pietro Ruta in vista dei Giochi 2021

06 luglio 2020
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SASSARI. Questa volta sulla barca non sarà solo. «Non vedo l’ora, in tutti questi mesi io e Pietro siamo stati costretti ad allenarci singolarmente, ma noi siamo una coppia! Dobbiamo vogare insieme se l’anno prossimo vogliamo vincere le Olimpiadi di Tokyo».

Stefano Oppo, canottiere oristanese, 26 anni, tre volte di fila argento mondiale nel doppio pesi leggeri con Pietro Ruta («Magari a Tokyo l’incantesimo si spezza!»),  fino al 19 luglio è a Sabaudia per il primo raduno olimpico post-Covid con la Nazionale italiana di canottaggio. Una prova generale in vista degli Europei in programma in Polonia a ottobre, l’unica gara della stagione: «lì ci renderemo conto delle condizioni fisiche dei nostri rivali, se sono in forma, quanto si sono allenati durante il lockdown. Sarà il primo vero test».

Finalmente a Sabaudia si riparte...

«La regione Lazio ha appena dato l’ok agli sport di contatto quindi io e Pietro potremo tornare ad allenarci insieme. Chissà come sarà dopo tutti questi mesi di stop a causa della pandemia.. sarà emozionante tornare a remare insieme, non vedo l’ora».

Allenamenti nell’era post-Covid, cosa cambia nel canottaggio?

«Innanzitutto per partecipare al raduno di Sabaudia tutti gli atleti si sono sottoposti al test sierologico. Il mio? Negativo, ovviamente.. per il resto non credo cambierà molto... abbiamo sempre rispettato le regole di igiene e pulizia e sulla imbarcazione i canottieri sono distanti gli uni dagli altri. Tra me e Pietro, ad esempio, ci sono 140 centimetri di distanza. Perché allora fino ad oggi non abbiamo potuto allenarci insieme? Tutta colpa della scia, dello spostamento dell’aria... il canottiere che è davanti potrebbe infettare quello che sta dietro.., nel mio caso io... L’unica vera novità sarà la pulizia dei remi con l’amuchina dopo ogni uscita».

Un sacrificio minimo rispetto ai mesi di lockdown...

«È stata dura, per tutti d’altronde. Ho continuato ad allenarmi, prima dentro le mura di casa con il vogatore, poi appena ho potuto sono andato in barca a Torre Grande, per fortuna ho trascorso tutta la quarantena ad Oristano».

Per un sardo è curioso andare a remi visto che da noi non ci sono molti laghi. Come è nata la passione per il canottaggio?

«Lo faceva mio fratello da bambino, andavo a vedere i suoi allenamenti e ho capito che mi piaceva così appena ho avuto l’età ho cominciato ad andare in barca a Torre Grande e da lì è cominciato tutto».

Tre volte di fila vicecampione del mondo nel doppio pesi leggeri insieme a Ruta. Tre volte secondi. L’anno scorso a Linz, tre secondi di distacco dagli irlandesi. Cosa vi manca per l’oro?

«Non è il massimo arrivare sempre secondi, anzi a dirla tutta dà proprio fastidio, ma sempre meglio che stare giù dal podio... Scherzo, io e Pietro siamo molto contenti dei risultati raggiunti, in questi ultimi tre anni siamo cresciuti molto però ci manca qualcosa... Cosa? Non lo so, spero di scoprirlo a Tokyo l’anno prossimo».

Ormai è di moda il mental coach, nel suo caso potrebbe fare la differenza?

«Ci ho provato, ma non ha funzionato, questione di sensazioni. Ho sempre pensato che la motivazione puoi trovarla solo dentro di te, grazie alla spinta delle persone che ti vogliono bene. E io ho un mondo di amore intorno a me».

È dura la vita da canottiere?

«Ci alleniamo tutti i giorni, mattina e pomeriggio. La mattina in barca almeno tre ore, altre due la sera in palestra per il potenziamento muscolare. Riposo? Solo la domenica pomeriggio. Quest’anno avevo deciso di staccare un po’ dopo le Olimpiadi e invece le hanno rimandate all’anno prossimo...».

C’è spazio per una fidanzata?

«Sì, Camilla è molto paziente, mi capisce al volo anche perché suo fratello è canottiere».

Se non avesse fatto canottaggio...

«Da bambino ho provato a giocare a calcio ma la mia carriera è durata solo un giorno. Mi è arrivata una pallonata in pancia e non ci sono più voluto andare. Ora il calcio lo seguo, mi piace lo spirito di squadra, il Cagliari mi ha anche invitato alla Sardegna Arena. Ma diventare calciatore no, non era proprio il mio sogno. Molto meglio continuare a remare».
 

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