La Nuova Sardegna

Sport

Alessia superstar: l’Europa è a Narbolia

di Enrico Carta
Alessia superstar: l’Europa è a Narbolia

Orro festeggiata da amici e parenti dopo il trionfo in azzurro

06 settembre 2021
4 MINUTI DI LETTURA





INVIATO A NARBOLIA. Un abbraccio e più di un pianto con mamma, babbo e la sorella all’arrivo in aeroporto. Il ritorno a casa con una piccola cerimonia in piazza del Municipio. Il resto della mattina coi compaesani che alla spicciolata si affacciano nel giardino di casa per congratularsi. Nel pomeriggio un tuffo al mare e alla fine un po’ di festa tra un brindisi e un boccone. L’Europa è qui, a Narbolia, in quella provincia di Oristano diventata calamita di medaglie preziose.

L’abbuffata delle Olimpiadi è appena passata eppure la scorpacciata continua. Stavolta il sorriso è quello di Alessia Orro, fresca di vittoria con la Nazionale italiana nel massimo torneo continentale, meno fresca per le tante ore passate dall’ultima volta che ha poggiato la testa su un cuscino. «Dormito? Zero. Non c’è stato tempo e a dire il vero ce n’è stato pochissimo anche per festeggiare tutte assieme. La partita è finita molto tardi e, tra premiazioni e cerimonia, abbiamo avuto giusto il tempo di goderci il momento tra di noi in spogliatoio». Poi cena, albergo, valigie, aereo e via sino a casa a riabbracciare genitori, amici e tutto il paese che in mattinata le ha regalato il primo applauso il primo brindisi.

È successo tutto talmente in fretta che il sindaco Gian Giuseppe Vargiu stava andando a svolgere il proprio turno per il servizio antincendio e in un attimo ha cambiato il proprio programma e quello dell’intero paese. Quasi nessuno sapeva che, finita la finalissima con la Serbia, le azzurre sarebbero state caricate, alle 3.30 del mattino in tutta fretta, sul primo aereo che le avrebbe riportate in Italia. Poi Sardegna ed ecco mamma Caterina, babbo Giuseppe e la sorella Sara: «Cos’è successo? Non lo so, non siamo riusciti a parlare. Ci siamo guardati, poi abbracciati tra pianti vari. Non c’era bisogno di parole».

A dirsi qualcosa avevano provato anche la sera prima, ma non è andata molto bene. «Ho fatto una videochiamata a casa dopo la vittoria, ma è stato un delirio. Non funzionava benissimo la linea internet dentro il palazzetto di Belgrado e a casa sembrava di vedere un gruppo di pazzi che urlava, faceva confusione. Follia, ma è stato bellissimo – sorride – e quando sono tornata in albergo ho richiamato i miei con più calma. Non troppa, perché eravamo ancora tutti carichi di adrenalina e talmente felici che non so bene cosa ci siamo detti».

La nebbia gioiosa del dopo partita, si dirada invece quando c’è da fare un riassunto dell’Europeo: «Ci siamo arrivate con lo spirito giusto, perché avevamo tanta voglia di riscatto dopo la delusione di Tokyo. Tutte avevamo ben chiaro dove volessimo arrivare e alla fine ci siamo riuscite. Che la squadra fosse forte era innegabile anche dopo lo scivolone alle Olimpiadi però vincere il titolo non era certo scontato visto il livello delle avversarie. Dal punto di vista dell’assetto tattico, rispetto a Tokyo, è stata data più continuità ai sestetti, con meno cambi. Lo staff tecnico ha ritenuto che potesse essere quello uno degli aspetti da correggere, intanto noi abbiamo preso fiducia giorno dopo giorno, anche se magari non abbiamo brillato contro le avversarie sulla carta più agevoli. Abbiamo invece ingranato al meglio contro le squadre più quotate e alla fine anche la Serbia è andata al tappeto».

Sembrerebbe un’annata straordinaria, invece Alessia Orro ha ancora più di un pizzico di delusione per l’esito delle Olimpiadi: «Ho vinto la Coppa Cev con la mia squadra di club, ho vinto l’Europeo però in mezzo c’è quel buco olimpico che non mi va giù. Sarà uno stimolo per fare meglio». E intanto venerdì torna al lavoro con il suo Monza, pronta a guardare avanti, ma in testa ha sempre ben presente la strada fatta fin qui: «Ero uscita dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro a pezzi. Avevo 17 anni ed è stata la prima volta che mi sono dovuta confrontare con le difficoltà. Sino a quel momento era stato tutto rose e fiori, da lì mi sono accorta che bisognava fare i conti con i momenti bui. La mia forza è stata tutta nel carattere che ho preso dai miei genitori. Siamo sardi e abbiamo la testa dura. Da loro ho imparato che quando si cade ci si rialza, soprattutto se si hanno persone come loro che ti stanno vicine». E mamma e babbo, distratti tra un boccone e un brindisi, lo sanno bene. Poche parole e tanta gioia: «È stato bellissimo, cosa dire di più se non che siamo felicissimi?». Poi si torna tra gli amici di sempre, perché un oro ti fa contento ma non ti cambia.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

In Primo Piano
L’intervista

Giuseppe Mascia: «Cultura e dialogo con la città, riscriviamo il ruolo di Sassari»

di Giovanni Bua
Le nostre iniziative