C’era un volta il Banco di Emanuele Rotondo, il più grande realizzatore della storia della società biancoblù
L’ex stella Dinamo: «Chessa protagonista del grande momento biancoblù»
Sassari È uno dei grandi giocatori sassaresi che hanno fatto la storia della Dinamo che oggi vince e diverte come ha fatto con Tortona domenica. Emanuele Rotondo con quella maglia, anche in versione biancoverde, ci ha giocato 16 anni, sino al 2007, risultando il più grande realizzatore societario (6.551 punti) e sempre tra i migliori marcatori di Legadue, leader in tane statistiche e con due raduni con la nazionale maggiore. Classe ’75, è avvocato ma ha scelto di lavorare nello sport: dopo l’esperienza con minibasket e giovanili della Dinamo si è messo in proprio con la Scuola basket Sassari insieme a Nicola Bonsignori. Ma dei Giganti resta uno dei principali tifosi. «Sono un tifoso particolare, visti i trascorsi – dice Rotondo – e se mi chiedete un parere, posso dire che stiamo vedendo un’altra squadra rispetto a qualche mese fa. Come spesso succede, quando le cose non vanno subito bene si fanno i funerali in anticipo, e con la Dinamo è stato fatto lo stesso errore. Ma nello sport le situazioni non sono mai definitive».
I meriti del coach. «In questo caso è successo che è evidentemente stato molto bravo Piero Bucchi – non ha dubbi l’ex stella Dinamo –. Quando tutto fila liscio è facile attribuire dei meriti, ma le vere difficoltà si vedono quando un coach è capace, come ha fatto lui, di risollevare squadra e uomini in condizioni di forma e rendimento insufficienti, e che ora sembrano letteralmente altri giocatori. Vedi Dowe, che (pur tenendo conto dell’infortunio) ora fa ciò che si ci aspetta da un americano. Ora è un punto di riferimento, la guardia americana che serviva. Cosa che prima non stava facendo: ora segna canestri difficili, si prende responsabilità, è una garanzia e la squadra ne ha clamorosamente beneficiato».
Incroci. Ma non è solo Dowe a essere cresciuto: «Tutta la squadra è in fiducia» dice Rotondo. Emblematico ad esempio ciò che sta facendo il suo concittadino Chessa, che contro Tortona è stato ancora protagonista: «Mi fa solo piacere per Massimo, il mio ultimo anno della Dinamo è stato suo primo, siamo stati compagni di camera quando lui stava cominciando a certi livelli e gli voglio molto bene, lui lo sa. Ci siamo quindi incrociati mentre lui entrava e io uscivo, già allora che era ragazzino mostrava una mano fuori dal comune. E a 35 anni nel vederlo ancora competitivo, con questa voglia e questa carica, c’è soltanto da togliersi il cappello. Bravo nel farsi trovare pronto nelle non tantissime volte che è stato chiamato in causa, e adesso è un fattore».
Carattere e orgoglio. La sorprende? Chessa sembrava ormai destinato a un ruolo da comparsa, invece... «No, non mi sorprende. Forse lo ha un po’ limitato il tipo di fisico (lui è una guardia pura e si è sempre un po’ adattato al ruolo di play), ha una mano superlativa, ma se avesse avuto qualche chilo in più forse avrebbe fatto una carriera ancora migliore di quella peraltro ottima che può vantare. Le sue doti sono il carattere e l’orgoglio, come tutti io sassaresi, e giocare a casa a 35 anni nella massima serie non è una cosa consueta. Sicuramente ha un buon rapporto con Bucchi (che lo ha apprezzato dai tempi di Roma e sa cosa gli può dare), ora è una carta in più da giocare, che sta funzionando. E con Tortona era in campo nei momenti importanti. Tiene il campo, ci dà in difesa, non spreca, sa quali sono i suoi limiti, quando c’è da fare canestro non gli trema mai la mano, vederlo giocare così ti fa solo piacere, è importante non far scendere il livello quando ci sono le rotazioni».
Pisano all’uscio. Il fatto che Massimino sia sassarese dà un sapore ulteriore, e lei ne sa qualcosa: «Vedere i sassaresi con la Dinamo è una cosa bella, lo guardi con occhi diversi, è motivo di orgoglio. Anche se della vecchia guardia. Vorrei ce ne fossero di più, ma ci accontentiamo». Ora c’è il giovanissimo Pisano che spinge: «Riccardo è un 2005, l’ho allenato nel minibasket, lo conosco da bambino, ha fatto tutta la trafila e già da allora si vedeva che era molto forte. Quello che mi ha sempre colpito di lui è che già da ragazzino veniva all’allenamento con l’obiettivo di migliorare, ha una testa super, oltre al talento, e ci metteva grande impegno, impressioni che sta confermando».
Macchina del tempo. Un Banco che entusiasma e macina avversari, che emozioni suscita in un ex? «Se potessi scenderei in campo, quando entro al palazzetto mi catapulto a 20 anni fa e mi verrebbe voglia di giocare. Bisogna sempre pensarci due volte a ritirarsi perché ciò che ti dà il basket ad alto livello è difficile ritrovarlo». Un Rotondo nel basket attuale, come sarebbe? «A volte me lo chiedo, probabilmente ci potrei stare bene, ma fare paragoni è difficile. Ho il solo rammarico che se avessi scalato 10 anni dopo avrei fatto anche io la A, ma sono pensieri che lasciano il tempo che trovano. Ora alle mie figlie che tifano devo spiegare: guardate che un po’ nella Dinamo ci ho giocato anche io…»