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L’intervista

Sebastiano Luperto gentleman del Cagliari: «Ma in campo sono una belva»

di Roberto Muretto
Sebastiano Luperto gentleman del Cagliari: «Ma in campo sono una belva»

Il difensore è già entrato nel cuore dei tifosi: «Loro sono speciali perché non invadenti»

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Cagliari Paragonato a Raúl Albiol (difensore campione del mondo con la Spagna) a cui ha dichiarato di ispirarsi per prestanza fisica e doti tecniche, Sebastiano Luperto è un centrale con una stazza fisica possente. È efficace nel gioco aereo, buona tecnica individuale e una discreta visione di gioco, qualità che gli consente di impostare l'azione dal basso. Cosa che ha dimostrato di saper fare in queste prime sette giornate della nuova stagione. L'ex capitano dell'Empoli ora è un punto fermo nella difesa del Cagliari. Un ragazzo di 28 anni gentile, dai modi signorili, con una buona cultura di base, che in campo diventa un mastino dai denti aguzzi. Un uomo che sa farsi voler bene e apprezzare.

A Cagliari in due mesi è già diventato un beniamino dei tifosi. Insieme a Mina forma una coppia di centrali solida, già affiatata. In questa intervista, nella quale non parla solo di calcio, si confessa senza peli sulla lingua.

Sebastiano, avete detto che il ritiro è stato importante, ci spiega perché?

«Ci siamo confrontati tantissimo tra di noi, ognuno ha espresso la propria opinione sulla situazione e quello che bisognava migliorare. Ci è servito per lavorare insieme di più e conoscerci meglio. Nello sport non sono cose secondarie».

Una curiosità: quando perde una partita come si sfoga?

«Ho molto autocontrollo, cerco di analizzare le cose con calma e razionalità. Riguardo la partita, cerco di capire i miei errori, e quelli fatti dalla squadra come collettivo. Poi parlo con i compagni e il mister. Il confronto è importante».

Nello spogliatoio si sente già un leader o è solo un’impressione?

«Una cosa che mi ha sorpreso positivamente sono stati i più "anziani" dello spogliatoio, mi hanno subito fatto sentire uno di loro. Questo mi ha consentito di integrarmi in fretta nel gruppo. Mi sembra di giocare qui da tanto tempo. Un'accoglienza così ti fa lavorare bene e ti dà la carica. Sono felice per la scelta fatta d’estate».

Il compagno di squadra con il quale ha legato di più? «Ho un buonissimo rapporto con tutti. Certo, è normale con qualcuno parli di più, con altri meno. Uno in particolare non c'è. Io sono una persona solare, lego con tutti. È sempre stato così».

Il traguardo del Cagliari resta la salvezza: sarà più difficile delle altre stagioni raggiungerla?

«Quest'anno le squadre sono attrezzate, c'è stato un livellamento verso l'alto. La nuova formula della Champions e dell' Europa League costringerà le big a giocare più partite impegnative. Questo potrebbe avvantaggiare le "piccole" perché potranno prendere punti anche con le formazioni di vertice. In sintesi, secondo me la quota salvezza si alzerà. Noi guardiamo avanti con fiducia, consapevoli dei nostri mezzi».

Quanto ha inciso mister Davide Nicola per il suo sì al Cagliari?

«È stato importante. Ho parlato con lui prima di venire qui, mi ha spiegato tutto. Poi ho avuto colloqui col presidente Tommaso Giulini e il direttore sportivo Nereo Bonato. Ho capito che avevano fiducia in me. È stata la molla che mi ha spinto ad affrontare questa nuova avventura con grande entusiasmo. Mi sono sentito apprezzato dalla società».

Lasciamo perdere per un attimo il calcio, c'è un posto che sogna da tempo di visitare?

«Ho avuto la fortuna di girare parecchio. L'ultimo viaggio l'ho fatto in Giappone, sono rimasto affascinato dalla loro cultura. Mi piacerebbe andare in Argentina dove non sono mai stato. In tanti mi dicono che ne vale la pena. Ci sto pensando».

Un’altra curiosità: la musica che accompagna la sua giornata?

«Ascolto spesso i vinili, ne ho una bella collezione. Una canzone in particolare che mi piace sentire e risentire è: "Just the Two of Us" di Bill Withers».

Sa suonare qualche strumento?

«No, a scuola ho seguito lezioni di chitarra ma onestamente non mi ricordo più nulla. Se dovessi prenderla tra le mani non saprei da dove cominciare».

Ha qualche portafortuna dal quale non si separa mai?

«Sì, i miei parastinchi. Li ho da circa 15 anni, ci tengo tantissimo. Ai magazzinieri ho detto: perdete qualsiasi cosa ma non questi, per me sono oggetti davvero preziosi. Scaramanzia? Forse».

La sua squadra del cuore quando era un bambino?

«Mi piaceva tantissimo il Milan di cui sono stato un tifoso. Ma ora sono un calciatore professionista e la mia squadra del cuore diventa quella dove gioco».

Il suo idolo?

«Come figura e per quello che ha fatto nel calcio, ammiro Paolo Maldini. È stato un campione in campo e anche fuori. L'ho incrociato quando faceva il dirigente, ho apprezzato i suoi modi, l'educazione, come si rapporta con le persone. Veramente un signore e un esempio per tutti».

Ci racconta come è entrato il calcio nella sua vita?

«In famiglia mio zio e mio padre giocavano, ma non ad alti livelli. Papà era un centrocampista, mio zio terzino sinistro. Da quando avevo 5 anni mi hanno portato sui campi. Vederli giocare mi divertiva tantissimo, per me era come andare a una festa. Non ho più mollato».

Usa i social? E quanto?

«Li uso il giusto. Devo dire anche poco nell’arco della giornata. Il tempo libero preferisco dedicarlo ad altre cose».

Un incontro che vorrebbe fare?

«Ammiro Michael Jordan, ha fatto la storia del basket e dello sport a livello mondiale. Ho visto tanti filmati su di lui, sono rimasto a bocca aperta. Potergli parlare per me sarebbe emozionante. Chissà che un giorno non succeda».

La sua qualità migliore?

«L'umiltà mi contraddistingue da sempre. Rispetto le persone, ascolto tanto, sono calmo e pacato. Cose che mi ha trasmesso la mia famiglia e metto in pratica».

Ma in campo è un’altra cosa.

«Quando giochi vuoi vincere e devi essere determinato. Questo mi sembra naturale. Lo sport è competizione, oltre che rispetto e lealtà. Ma io posso dire di essere un calciatore a volte duro ma corretto».

Si è mai confrontato col presidente Tommaso Giulini?

«Il primo giorno che sono arrivato ho parlato a lungo con lui. Mi ha spiegato dove ero venuto a giocare e il significato di indossare la maglia rossoblù. Ho capito che qui c’è uno spiccato senso di appartenenza. Una chiacchierata che mi è servita moltissimo e aiutato a capire dove ero arrivato».

Si può dire che col mister lei ha un rapporto speciale?

«Ci lega un momento bellissimo: la salvezza dello scorso campionato a Empoli all'ultimo secondo. Un’emozione particolare, un percorso duro, complicato ma alla fine abbiamo centrato il traguardo».

Ultima curiosità: dite sempre che i tifosi rossoblù sono speciali, c’è una spiegazione?

«Sono qui da poco tempo, ma ho già capito una cosa: quella sarda è una tifoseria calorosa ma non invadente. Questo per me vuol dire essere speciali. Allo stadio si fanno sentire sia in casa che in trasferta e questo per noi calciatori sono paragonabili a scosse di adrenalina».

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