La Nuova Sardegna

Francescani e cultura Queer La preghiera e i diritti dei gay

“Silenzi e parole”, il nuovo film di Peter Marcias da oggi nelle sale sarde Un dialogo a distanza tra i frati di Sant’Ignazio a Cagliari e l’universo Lgbtq

06 aprile 2017
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La diciottesima edizione del Festival del Cinema Europeo, in corso a Lecce, ha ospitato ieri l’anteprima del nuovo film di Peter Marcias: “Silenzi e parole”. Un documentario, prodotto da Capetown Film con il sostegno della Sardegna Film Commission, che sarà nelle sale di tutta Italia per Pasqua distribuito da Istituto Luce Cinecittà. Prima inizierà il suo percorso nell’isola. Da oggi sarà infatti al Greenwich di Cagliari dove resterà in programmazione per due settimane. Tra le altre date sarde già fissate: Carbonia (venerdì alla Fabbrica del cinema), Oristano (l’11 aprile all'Ariston), Sassari (al Teatro Civico il 13 aprile). Un film particolare che mette a confronto due realtà: la Quaresima dei frati cappuccini e la Queeresima dell’associazione Arc che difende e promuove i diritti della comunità Lgbtq (acronimo per lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer). Da una parte, quindi, i silenzi, i riti cristiani seguiti da un pubblico devoto. Dall’altra le parole di giovani e non che si battono per diritti civili.

Come nasce l'idea di questo documentario?

«Mentre giravo a Cagliari “La nostra quarantena” ho sentito parlare delle iniziative dell'associazione Arc che da anni si batte in Sardegna per i diritti Lgbtq e mi ha incuriosito la parola Queeresima. Quaranta giorni di attività volte a sensibilizzare su tematiche riguardanti l'omosessualità, le malattie sessualmente trasmissibili, l’omofobia. Una mobilitazione che culmina in una fiaccolata per le vie di Cagliari. Mentre invece i frati cappuccini del convento di Sant’Ignazio nel periodo di Quaresima, attraverso la preghiera e l’aiuto concreto, sostengono ogni giorno famiglie intere e persone che hanno perso la fiducia in loro stesse e nel prossimo, avvicinandoli a Dio attraverso il silenzio».

Ma queste due realtà che sembrano così lontane hanno qualcosa in comune?

«Hanno molto in comune. In primis sono persone che si occupano di altre persone. E, cosa non da tutti, hanno la forza di farlo. Mi sono trovato di fronte una Chiesa nuova e una Società diversa. A partire dalla raccolta di numerose interviste, dibattiti, incontri pubblici e privati, ho affrontato questo film come un viaggio. Trovando una nuova concezione di democrazia».

Come è stato accolto dalle due comunità il progetto quando ha proposto l’idea del documentario, in particolare da quella dei frati?

«Non ho chiarito a entrambi l’idea che avevo in mente, anche perché all’inizio avevo dei dubbi che funzionasse l’accostamento. I frati sono uomini di Dio, umili, non fanno tante domande. Io sono stato abbastanza invadente e mi hanno “regalato” belle immagini del quotidiano».

Tra i frati compare anche l’anziano fra Lorenzo. Un personaggio noto, scomparso da poco. Che ricordo ha di questo incontro?

«L’ho visto più volte per le riprese del film. Ogni volta mi dava un’emozione. Un uomo molto intelligente e colto. L’ho incalzato con domande a carattere sociale e mi ha risposto con grande senso di responsabilità».

Quanto ha lavorato al documentario?

«Prima di tutto ho frequentato entrambi i luoghi nei momenti liberi che mi ritagliavo da altri progetti. Un modo di riposarsi e allo stesso tempo capire meglio. Poi un lungo periodo di riprese, tante interviste, messe, riunioni. Ore e ore di materiale realizzato insieme col direttore della fotografia Maurizio Crepaldi con grande passione e discrezione e che solo il montatore Andrea Lotta, che mi conosce bene, poteva analizzare con la lente d’ingrandimento».

Alcuni registi, viene in mente Werner Herzog per fare un nome importante, spesso scelgono l’uso del narratore per accompagnare lo spettatore. Lei invece preferisce eliminare la voce narrante, perché?

«Sono “figlio” del cinema del reale, quel cinema moderno che vediamo soprattutto nei festival internazionali e adesso anche nelle sale. E la costruzione è più efficace così. Questo non vuol dire che la voce narrante non sia mai adatta. Posso anticipare che sto girando un nuovo documentario che avrà la voce narrante di Herzog».

L’ambientazione è ancora Cagliari, come altre volte nei suoi film. Cosa significa per lei girare nella città dove è cresciuto?

«È la mia città. Ho inquadrato quasi tutto, dal centro alla periferia. Però sempre con uno sguardo da “prima” volta. In questo caso sono uomini e donne della città. È un film fatto soprattutto di volti».

Nel documentario sono presenti anche delle brevi sequenze animate. Che valore anno?

«All’inizio ho immaginato di far incontrare un frate e un volontario dell’associazione Arc, poi il montaggio suggeriva altro. Mi sono affidato allora alla “matita” del bravissimo illustratore Riccardo Atzeni e virtualmente le realtà si sono incontrate. L’animazione mi ha sempre permesso di fare scelte originali».

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