La Nuova Sardegna

«Aprire una casa editrice? Più facile che gestire un bar»

di Grazia Brundu

Il tour sardo dell’editore specializzato in racconti: bilancio di un anno di attività Dal successo dei testi di Virginia Woolf alla prossima stampa di Eudora Welty

04 maggio 2017
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SASSARI. Da quando, un anno fa, hanno fondato a Roma “Racconti Edizioni”, si parla di loro sulle riviste e nei programmi dedicati ai libri. L’ha fatto anche Michela Murgia nel format Rai “Quante storie”. È piaciuta a molti, infatti, l’idea audace di Emanuele Giammarco e Stefano Friani di provare a rovesciare il tabu secondo il quale i racconti non vendono e varare una casa editrice specializzata esclusivamente in questa forma letteraria. I due editori romani, trenta e trentatré anni, in questi giorni sono in Sardegna per un tour che, iniziato nei giorni scorsi alla Libreria Emmepi di Macomer e alla Cyrano di Alghero, prosegue oggi alla Libreria Azuni di Sassari (18.30) e si chiude domani a Cagliari (11.30, Libreria Ubik). Abbiamo parlato del progetto editoriale con Emanuele Giammarco.

“Racconti edizioni” può contare sulla distribuzione capillare di Messaggerie Italiane. Però a voi interessano anche i librai indipendenti e questo tour servirà a rinsaldare rapporti e stringerne di nuovi, è così?

«Sì, i librai indipendenti sono gli unici che conoscono bene i libri, che pretendono dal loro tempo uno spazietto da dedicare alla lettura. E poi prendono a cuore un progetto come il nostro e sono pronti a raccontarlo per filo e per segno ai lettori. Tra l’altro, agli inizi, Emiliano Longobardi della Libreria Azuni, è stato il primo a contattarci subito dopo l’articolo su “Il libraio” che parlava di noi».

A proposito di inizi, quanto sono stati difficili?

«La verità è che aprire una casa editrice di nicchia a Roma costa meno che aprire un ristorante o un bar. Con Stefano ci siamo conosciuti durante un master in Editoria alla Sapienza di Roma. Poi, dopo uno stage da Il Saggiatore, io, e da Einaudi, lui, abbiamo capito che era arrivato il momento di rischiare piuttosto che fare gli stagisti all’infinito. Abbiamo richiesto dei finanziamenti regionali ma la maggior parte delle risorse economiche erano le nostre. E poi, siccome i racconti non vendono, avevamo il vantaggio di poter trovare ottimi libri a prezzi minori di altri».

Quindi il bilancio del primo anno è positivo?

«Diciamo che siamo ancora vivi e questo credo sia importante. A parte gli scherzi, abbiamo ricevuto complimenti da addetti ai lavori e comunità social. E abbiamo collaborato con traduttori importanti come Vincenzo Mantovani, Luigi Ballerini, e un’esperta di Virginia Woolf come Liliana Rampello, che ha curato per noi la pubblicazione dei racconti della scrittrice, assenti da anni dalle librerie italiane. Ne abbiamo venduto duemila trecento copie e adesso è in ristampa».

Virginia Woolf è un classico, ma nel vostro catalogo ci sono autori ancora poco conosciuti in Italia. Come li avete scelti e cosa li accomuna?

«Abbiamo letto, spulciato interviste, Google, bancarelle. Poi, spavaldi, abbiamo cercato i loro agenti su internet. Ciò che in qualche modo li unisce è l’idea di uno sguardo “altro”, il tema della migrazione, il fatto di vivere e lavorare in paesi diversi da quelli in cui sono nati».

È il caso, per esempio, di “Appunti da un bordello turco”, tradotto da Stefano Friani.

«Sì, è di uno scrittore irlandese dal nome impronunciabile: Philip Ó Ceallaigh, abbiamo scoperto che si pronuncia come la parola “occhiali”. Ha vinto il Rooney Prize ed è stato paragonato a Bukowski e a Carver. È un libro fresco, divertente, con personaggi che usano il discorso indiretto libero per divagare in maniera cinica sul mondo».

Quali altri titoli segnalerebbe tra i sette finora pubblicati?

«La raccolta “Albero di carne” dello scrittore pellerossa S.G. Jones, in particolare il racconto “Nel nome del coniglio”, che è pazzesco, con un padre e un figlio nella neve e un coniglio che aleggia come un miraggio. E poi sicuramente “Stamattina stasera troppo presto” di James Baldwin, un autore formidabile, nero americano, che in Italia non veniva pubblicato dagli anni Sessanta. In America va forte, noi siamo veramente fieri di averlo ristampato e ci sono dei rumors che dicono che adesso verrà comprato da qualche casa editrice molto più importante di noi».

A maggio manderete in stampa “Una coltre di verde” del Premio Pulitzer 1973 Eudora Welty. E poi i racconti della scrittrice filippina Mia Alvar, ancora inedita in Italia. Cosa ci dice di lei?

«Si parla già molto di lei in America e noi ci abbiamo investito tanto. Il suo “Famiglie ombra” è un libro lungo, intenso; sono storie d’amore con riferimenti all’attualità, dalle Torri Gemelle alla dittatura di Marcos nelle Filippine».

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