La Nuova Sardegna

Il corallo e Alghero: l’intreccio di una città con il suo “oro rosso”

Vanessa Roggeri
Il corallo e Alghero: l’intreccio di una città con il suo “oro rosso”

Un simbolo che ha identificato la Sardegna per secoli. Marina Ferraro è la raffinata erede di una tradizione

11 giugno 2018
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Alghero è candidata a diventare Città Creativa Unesco, un riconoscimento ambito nato nel 2004 allo scopo di unire le città che hanno fatto della creatività il motore del proprio sviluppo economico. Un’opportunità preziosa che in caso di vittoria permetterebbe alla capitale della Riviera del Corallo di fare turismo tutto l’anno anche fuori dai periodi legati alla balneazione, con un forte richiamo internazionale e la valorizzazione della propria ricchezza culturale e identitaria. Al centro della tradizione artigianale algherese c’è il corallo, il corallium rubrum, il nobile rametto che dal 1355 campeggia sullo stemma comunale: racchiuso in uno scudo cinto da fronde di palma, il corallo emerge dal mare aggrappato a uno scoglio.

IL SIMBOLO. Il corallo è emblema non solo di Alghero, ma è uno dei simboli che identificano la Sardegna e che per secoli ne ha influenzato l’economia e il costume. Ha stregato i popoli di tutto il mondo e ancora oggi non smette di rappresentare un vezzo desiderabile. Si raccoglie fin dal neolitico e per millenni, dall’epoca romana fino agli anni ’70 del ‘900, si è pescato sempre con il medesimo metodo: una grande croce di legno chiamata “ingegno” calata sui fondali e trascinata allo scopo di catturare i rametti. Un metodo che nel tempo si è dimostrato devastante per gli ecosistemi del Mediterraneo e che oggi ha portato la Regione Sardegna a dare un ulteriore giro di vite al fine di tutelare la salute del mare. Vengono concesse non più di 25 licenze a professionisti subacquei che per pochi mesi all’anno possono raccogliere quotidianamente 2 chili e mezzo di pescato, a profondità che partono dai 50 metri. Si può dire che per oltre due millenni la pesca del corallo ha vissuto un periodo di ininterrotta fortuna. Nel 1600, in pieno Barocco, ha raggiunto la massima valutazione commerciale, ma è dopo la scoperta del corallo di Sciacca e del pelle d’angelo giapponese alla fine dell’800, che il mercato entra in crisi, toccando l’apice nel 1928. In epoca fascista il regime ha varato una campagna per il rilancio della pesca del corallo, ponendo la Sardegna come l’ultimo baluardo contro l’egemonia nipponica; si è rivelato un tentativo fallimentare e di fatto il mercato del corallo ha impiegato molti decenni per risollevarsi.

CACCIA ALL’ORO ROSSO. In questa ricerca spasmodica dell’oro rosso, i pescatori sardi sono sempre stati la minoranza contro una maggioranza forestiera di agguerriti toscani, liguri, pisani, marsigliesi, catalani e soprattutto torresi. Storici e viaggiatori hanno testimoniato che la sproporzione è stata così incontenibile che intorno al 1869 nella rada di Alghero si potevano contare 200 coralline - le imbarcazioni usate per la pesca del corallo - 6 mila marinai e soltanto 24 coralline di pescatori locali. Anche sotto questo aspetto la Sardegna, con le sue ricche coste, è stata terra di conquista e sfruttamento per chi arrivava e sapeva prendere, strappare e portare via tesori che avrebbero potuto cambiare il destino dell’isola. Ma la fortuna del corallo è stata l’uomo stesso a decretarla, o per meglio dire, il simbolismo magico superstizioso che fin dalle origini ha attribuito a questo dono del mare. Il corallo nato dal sangue del mostro Medusa; il corallo simbolo di vita e bellezza; il corallo amuleto che scaccia gli spiriti maligni; il corallo che porta fortuna se lo regali; il corallo che protegge i bambini appena nati e i soldati in guerra; il corallo benedetto dal prete capace di concimare i campi; il corallo simbolo del sangue pietrificato di Cristo, mediatore tra uomo e Dio.

L’ARTE DI MARINA. Il mondo del corallo presenta una dicotomia storica che segna un prima e un dopo nel suo percorso dal mare alle vetrine delle botteghe: la pesca e la lavorazione sono sempre stati ad appannaggio degli uomini, mentre nella sua foggia finale, quando il corallo diventa un monile, riguarda una realtà prettamente femminile. Marina Ferraro, corallara di Alghero, rappresenta una delle poche eccezioni a questa regola non scritta. Cinquantacinque anni, figlia di una francese e di un algherese originario della Campania, Marina ha respirato corallo fin dall’infanzia, quando ancora bambina assorbiva il mestiere dai maestri corallari nel laboratorio dei genitori. Il corallo fa parte di lei, è nel suo Dna, e ogni volta che deve scegliere i rami più belli portati dai pescatori vive un innamoramento, una suggestione molto simile a uno stato incantatorio. Oggi è una delle più raffinate e note artigiane del corallo, con un catalogo che comprende sia pezzi economici sia articoli di alta gioielleria, vere opere d’arte di grande valore. Proprio una delle più pregevoli parure della sua collezione, I Fiori di Sardegna, un intreccio di filigrana e corallo rosso in stile floreale, è stata prestata al museo della città per essere ammirata dai delegati Unesco in visita ad aprile.

Oggi la boutique di Marina, oltre a vendere al pubblico dei vacanzieri, collabora con artisti di fama internazionale e rifornisce le vetrine esclusive della Costa Smeralda. Nel 2015 il Comune ha istituito il marchio di qualità collettivo “Corallium Rubrum Alghero” che identifica gli artigiani e tutela i consumatori contro le contraffazioni. Un passo importante, eppure Marina, da artigiana che conosce bene il corallo di Sardegna, racconta che ogni giorno avvengono ancora troppi raggiri nei confronti di ignari clienti: pur di vendere falso corallo proveniente dall’oriente, i venditori arrivano a contraffare il marchio. Istituirlo è stato un passo importante, ma occorrono maggiori controlli se si vuole arginare uno smercio che non solo va a detrimento chi pratica il mestiere con responsabilità e competenza, ma che danneggia il simbolo più rappresentativo della città.


 

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