La Nuova Sardegna

 

Fuga dal centro storico: quando Sassari diventò più povera

Sandro Roggio
Fuga dal centro storico: quando Sassari diventò più povera

L’impoverimento del centro storico di Sassari. L'impressione è che per spiegarlo si stia concentrando lo sguardo solo sulle vecchie strade. Ma il disagio che attraversa quell'area centrale non è nato lì

24 novembre 2018
6 MINUTI DI LETTURA





L’impoverimento del centro storico di Sassari. L'impressione è che per spiegarlo si stia concentrando lo sguardo solo sulle vecchie strade. Ma il disagio che attraversa quell'area centrale non è generato lì, tra Sant'Apollinare e San Donato, ma è il prodotto di scelte relative all'area più vasta. Un' analisi più attenta evidenzierebbe gli errori nei giudizi/pregiudizi verso quella parte della città, ben oltre la distruzione di sue componenti monumentali.

Può servire al dibattito interrogarsi sulla cattiva fama – esagerata e resistente – del vecchio centro; da quando la città era solo quella murata e le funzioni importanti si svolgevano nella esuberante Contrada di Piazza. Quando Sassari aveva pure coltivato l'idea di competere per il primato nell'isola; la gara aperta, tra Sette e Ottocento, con la capitale a sud. A traino della la grande prova negli anni Venti. Il successo di un teatro modernissimo (1829) che a Cagliari se lo sognavano, e un piano di espansione oltre le mura e contro la pericolosa densità abitativa. Poi la tragedia del colera nel 1855, funesta soprattutto per gli indigenti ammassati nella parte bassa a nord, dove confluivano liberamente tutti gli scarichi fognari.

Canali per non morire

L'emancipazione è cominciata con la realizzazione di “canali di spurgo” dopo il 1856. Un diffuso senso di sollievo culminato con l'inaugurazione del grande canale interrato nel quartiere di Sant'Apollinare. Una fiducia sconfinata riposta in quella infrastruttura salvifica: per cui Sassari potrebbe essere l'unica città che ha intitolato una strada a una fogna. Ancora oggi via del Gran Condotto. Ma nonostante gli investimenti per l'igiene pubblica, resisteva l'incubo. Riapparso a tinte fosche con i picchi di diffusione della Tbc. Letale negli anni Cinquanta, dopo un secolo dal colera. Paurosi i dati sulla mortalità: più preoccupanti di quelli riscontrati qua e là. Il peggio nel vecchio centro, la solita apprensione per l'affollamento persone/vano, la mancanza d'acqua, i rifiuti attorno ai luoghi più frequentati.

La cura di Concezio Petrucci, autore del Piano regolatore fascista, prevedeva la tabula rasa – togli il vecchio metti il nuovo – di cui rimangono i segni delle incompletezza, gli esiti tutto sommato al di sotto delle roboanti previsioni. Programma spietato più che determinato, nonostante l'assenza della risposta al quesito, dove metterli tutti i poveracci sfrattati, perché solo pochissimi fortunati avrebbero beneficiato dei piani INA- Casa e poi Iacp nelle aree di Monte Rosello, Baddimanna. Solo chi aveva risorse proprie poteva pensare di mettersi in salvo lontano dai focolai infettivi, preferiti i grandi lotti attorno alla chiesa dei Cappuccini dove l'aria era respirabile. “Hic purior aer” – è la scritta compiaciuta e benaugurante sull'ingresso di una casa modernista in viale Trieste. Il volto di Sassari influenzato da Art Nouveau/Sezessionstil, lo scenario elegante del racconto di Salvatore Mannuzzu e nel film di Antonello Grimaldi (dove Sassari sembra bellissima).

Applausi al piccone

Inevitabile l'avversione destinata a durare nei confronti dell'altra sponda, il nucleo antico infetto. La denigrazione in qualche misura alimentata. Il piccone continuamente invocato, gli applausi per chi volesse concorrere alla catarsi con le più audaci speculazioni. Incoraggiate le trasformazioni esemplari nel nome dell'orgoglio civico. Penso al grattacielo – come lo hanno chiamato i sassaresi senza il senso della misura. Di cui se ne rideva il poeta Salvator Ruju. “Una casa manna, mann'assai, va bè, a dezi o dòdizi piani, ma in tanti grattazeri americani si vòi cuntalli nò la fini mai...” Una propensione a riformare la città nel crocevia dove la comunità si ritrovava da secoli, convalidando l'idea di tenere tutto sotto controllo. Per cui il nuovo grande carcere era stato ubicato a pochi metri dai luoghi del passeggio.

Naturale che quando il sindaco Pieroni immaginava Sassari turistica a Platamona, trovasse difficoltà a far capire il disegno centrifugo culminato con l’acquisto di 11 ettari di pineta. D'altra parte a chi guardava il mondo dalla “Gabbia” del bar in piazza Azuni sfuggivano scenari drammatici a qualche chilometro. Come i capannoni militari di Rizzeddu/Serra Secca occupati da circa 300 famiglie sfrattate da alloggi dichiarati fatiscenti. Il consigliere comunale Alberto Mario Saba visitava “Montelepre” nel 1953, e questo giornale pubblicava coraggiosamente il racconto dell'ispezione. Sottolineando le sofferenze in quel suburbio “offesa al consorzio civile”.

Ognuno per sé

Dalla densità abitativa elevatissima alla dispersione decisa mezzo secolo fa. Il trionfo della città divisa per ceti. Nel quartiere di Latte Dolce - Santa Maria di Pisa quasi tutta l' edilizia popolare pubblica. Al diavolo ogni idea di integrazione. Mentre si lasciava la possibilità di arrangiarsi nelle campagne meno pregiate nella direttrice della SS 131, una marea di case autocostruite grazie a frazionamenti abusivi molto tollerati pure in danno di campagne magnifiche. Nella direzione opposta, nel rigoglioso paesaggio delle querce, le ville dei più abbienti. Così il vecchio centro si svuotava per via di un fuggi-fuggi: tra esodi programmati, si fa per dire, e traslochi spontanei. Alle spalle tutto il malessere nelle vecchie strade sputtanate con qualche esagerazione, appunto, su esercizio di meretricio e numero di tuguri, che pure non mancavano e nei quali continuava ad abitare ancora tanta gente.

Utile esasperare i racconti per la richiesta di interventi speciali. Il sogno: le case nuove in periferia, non a caso chiamate “casette in Canadà”, come nella canzone presentata a San Remo nel 1957. Non era difficile, in questo clima, prevedere la proletarizzazione dell'antico insediamento.

Qualche sospetto che il discredito convenisse. La tesi del centro malato e incurabile utile per promuovere rapidamente l'ideona, elaborata tra gli anni Sessanta e Settanta, di sostituire l'intero quartiere sotto piazza “Sventramento”. Mentre si immaginava di liberalizzare il diradamento a domanda (occhi puntati su via Usai) in continuità con i modi spicci sperimentatati dalla metà dell'Ottocento. Fortunatamente senza conseguenze in questo caso, anche per i dubbi sollevati dal movimento di opinione per la tutela del centro dopo il 1975.

Nel frattempo lo strappo era sotto gli occhi: l'abbandono pure dei palazzi abitati dall'aristocrazia e dalla nuova borghesia, compresi quelli più pregiati che potrebbero stare degnamente in un' importante città del Continente. Un deprezzamento anche dei valori immobiliari, in fondo poco spiegabile. Chissà se sarà soddisfatto chi ha pensato che in fondo bastava conservare qualche angolo pittoresco dell'antica città per la sua valorizzazione

La città sparpagliata

La depressione al centro (e non solo). Ampliare la città, è stata la parola d'ordine comoda per la propaganda. Da qui lo sconfinamento: autodeterminato (un terzo dei sassaresi abita nello sprawl); o pianificato come Predda Niedda, negli anni Ottanta. Causa dello squilibrio urbanistico e sociale – con la scomparsa dell'amalgama vitale abitazioni+negozi, – ben oltre il disarmo di attività economiche nel vecchio centro (oggi ridotto a circa 9mila abitanti). Nel quale sembrano decisivi i vuoti, la mancanza di abitanti e il calo di frequentatori stupiti dal surplus di “vendesi tutto”. È in ritardo la riflessione sul cortocircuito provocato da quel debordante centro commerciale ormai ex area industriale. A cui corrisponde la marea di capannoni affittati per il negozio al minuto che spiega le serrande abbassate di “Carrela Longa” (via Lamarmora).

I nuovi “biddinculi”

Il sovvertimento di senso nella progressiva marginalità di Sassari com'era nelle foto storiche, addirittura sconosciuta alle nuove generazioni di “biddinculi”. Si racconta di qualche adolescente dei paesi dei dintorni informato su ogni angolo della Galleria Auchan che non ha però mai visto i palazzi del duca, compreso quello dove ha sede il Comune. Il seguito è analisi e progetto, e la politica c'entra. Il primo passo è capire entità e composizione sociale delle popolazioni “new entry” sulle quali si potrebbe investire. Senza malintesi e pregiudizi.


 

In Primo Piano
Calcio Serie A

Al Cagliari non basta un gran primo tempo: finisce 2-2 la sfida con la Juve

di Enrico Gaviano
Le nostre iniziative