La Nuova Sardegna

L’intervista

Venti anni dalla morte di Fabrizio De André, Dori Ghezzi: «La sua Sardegna una scelta di vita»

di Alessandro Pirina
Venti anni dalla morte di Fabrizio De André, Dori Ghezzi: «La sua Sardegna una scelta di vita»

La moglie del grande cantautore: «Continuo a raccontarlo guardando al futuro»

11 gennaio 2024
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Vent’anni senza Fabrizio. Un vuoto immenso per Dori, i figli, gli amici, i fan. E «per la coscienza collettiva del Paese», come ha scritto l’altro giorno Gino Castaldo su Repubblica. Ma in questi vent’anni, anche se non più fisicamente, De André ha continuato a esserci. La sua arte, le sue canzoni, le sue parole sono ormai colonna sonora della nostra società, fanno parte della storia del Paese. E infatti, in occasione del ventennale della sua morte, avvenuta l’11 gennaio 1999, in tutta Italia, da nord a sud, sarà un moltiplicarsi di eventi, concerti, manifestazioni. Tutti vorrebbero la presenza di Dori Ghezzi, la compagna di una vita di Fabrizio, la custode della grande eredità artistica lasciata dal cantautore genovese, ma ovviamente per lei non sarà possibile essere ovunque. Dori venerdì parteciperà a Genova a un evento speciale a Palazzo Ducale. Insieme a lei ci saranno Cristiano De André, Gino Paoli, Neri Marcoré, Antonio Ricci, Fabio Fazio, Morgan, Mauro Pagani e Luca Bizzarri. Colleghi e amici di una vita, ognuno di loro racconterà il suo De André.

Dori, vent’anni senza Fabrizio. È stato difficile convivere con la sua assenza?
«Sicuramente questi venti anni li avrei voluti vivere diversamente. Ma come ho raccontato nel mio libro (“Lui, io, noi”, scritto a sei mani con Giordano Meacci e Francesca Serafini, edito da Einaudi Stile Libero, ndr) io cerco di vivere come se stessi quotidianamente con lui. Non ho nostalgia delle cose che fanno parte del passato, perché non è un qualcosa andato perduto, ma è un qualcosa che continua a vivere in me. Io racconto Fabrizio guardando al futuro, e spero di poterlo fare per tanti anni».

Lei ha scelto di condividere con il pubblico la grande eredità artistica lasciata da De André. Cosa che non tutti i familiari degli artisti fanno.

«Io credo che un artista appartenga a tutti, non può mai essere considerato di parte. L’arte travalica ogni ideologia politica e ogni Paese. Questo è ovviamente il mio pensiero. Rispetto chi ha fatto scelte diverse dalla mia, avrà avuto i suoi nobili motivi».

Talvolta però c’è un abuso dell’immagine di De André.
«Un problema di sovraesposizione c’è, ma io non pongo censure neanche laddove trovo carenze di un certo tipo. Perché ritengo che tutto sia fatto sempre con amore e rispetto. Viene difficile fare delle selezioni, anche perché Fabrizio è riuscito a colpire l’immaginario collettivo. Cosa che non sempre succede. Anzi, anche altri artisti meriterebbero un’attenzione simile».

De André attraversa tutte le generazioni. È amatissimo anche dai più giovani.
«Questo aspetto è davvero curioso, se pensiamo che nella prima parte della sua carriera è stato quasi un estraneo, non si faceva vedere in tv. Fabrizio era un artista di nicchia, non popolare. A un certo punto però lui sentiva la necessità di frequentare il suo pubblico e questo rapporto, questa vicinanza ha fatto capire chi era lui anche umanamente. E soprattutto ha colpito come artista. Per la sua voce, una delle più belle al mondo. E per le cose che dice, che affronta. Temi attuali, universali, che non cambiano e – ahimè – a volte peggiorano anche. Fabrizio è amato per la sua autenticità, la sua umanità. Ognuno lo sente come se fosse un parente, un amico. C’è un’appartenenza collettiva. Ma è normale, un artista deve essere così. Non è che io lo precludo agli altri solo perché l’ho sposato».

Che ne pensa della nuova scena musicale: il rap, la trap?
«Li seguo, e anche Fabrizio credo sarebbe stato curioso di questi artisti. Non sempre condivido quello che cantano, soprattutto sul rapporto tra uomo e donna. Li trovo un po’ troppo misogini. Ma è giusto che ci sia una evoluzione e li trovo anche interessanti. Salmo è quello che preferisco, forse perché non ha più vent’anni, ma il suo rap è molto elegante e intelligente. E anche musicalmente ha il suo perché, si distacca un po’ dagli altri. Questo dipende da dove uno nasce, cresce, dal tipo di cultura che respira. Saranno le sue radici sarde...».

A proposito di Sardegna: cos’era l’isola per De André?
«È stata una scelta di vita. Fabrizio voleva tornare a vivere in campagna, aveva nostalgia dei tempi della guerra, quando a 4-5 anni la sua famiglia si trasferì a Revignano d’Asti. Sentiva la necessità di avere un pezzo di terra, non una casa con orticello, lui voleva occuparsi di allevamento. Il desiderio di ritornare a questa vita contadina lo ha esaudito in Sardegna. Fabrizio aveva già una villa a Portobello e ancora non guidava. Aveva un autista, Giovanni Mureddu, di Tempio, che gli disse che c’era questo terreno che stavano vendendo sotto il Limbara. In quel momento noi eravamo interessati ad alcune terre tra la Liguria e la Lombardia, tra casa sua e casa mia, ma quando abbiamo visto l’Agnata non abbiamo avuto dubbi e abbiamo preso tre appezzamenti di terra. Non è stato un ritiro né un isolamento. Anzi, ci siamo resi conto che era più facile trovarci a Tempio che in un appartamento di Milano. E infatti tutti passavano di qua e la compagnia non mancava mai».

C’è una canzone di Fabrizio a cui è particolarmente legata?
«Se penso alle parole dico “La domenica delle salme” e “Smisurata preghiera”, testi colossali che riassumono tutta una tematica ben precisa. Sentimentalmente le canzoni che rappresentano di più lui sono “Amico fragile”, “Ho visto Nina volare” e “Hotel Supramonte”, che racconta un’esperienza che ci ha toccati insieme». 

In questi anni tanti artisti hanno cantato De André: quali sono le sue cover preferite?
«Non mi sembra carino fare una classifica. Posso però dire che amo i giovani artisti che osano. Ognuno deve interpretare Fabrizio a suo modo e portarlo nel proprio mondo personale e musicale. E qualche cosa bella in questi anni l’ho sentita».

De André è stato il cantore degli ultimi. Che effetto le fa oggi vedere una società così incattivita, porti chiusi, politici che si vantano di avere gettato nel cassonetto le coperte di un senzatetto?
«Non vorrei nemmeno commentare. Hanno inculcato nella testa della gente che è colpa dei migranti se non c’è lavoro. È una strumentalizzazione volgare, disumana. Il problema è che oggi troppa gente abbocca, ma prima o poi le persone si renderanno conto dove sta la verità».

Matteo Salvini è un fan di De André, Beppe Grillo grande amico di Fabrizio. Il suo giudizio sul governo.
«Quando arrivi in una certa situazione e devi accontentare gli elettori capita di perdere di vista i tuoi riferimenti».

Che pensa di Francesco?
«È un Papa che sta facendo il Papa. È uno dei pochi che oggi si sta occupando degli ultimi».

Gli eventi per il ventennale della morte di Fabrizio?
«Io l’11 sarò a Genova. A Milano e Roma ci saranno le “Cantate anarchiche” nelle piazze: sono le cose che apprezzo di più, le seguo da lontano. Non vado per non interrompere la magia».

E in Sardegna?
«Ci terrei tantissimo ad agosto a fare l’evento all’Agnata con il Time in Jazz. Presto sentirò Paolo Fresu».

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