La Nuova Sardegna

Gramsci nel mondo, un pensiero universale

di GIACOMO MAMELI
Gramsci nel mondo, un pensiero universale

Il docente Mauro Pala: «La sua attualità resta sorprendente»

20 novembre 2019
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C’è una “guida pratica alle interpretazioni di Antonio Gramsci nel mondo”. Mauro Pala, 58 anni, professore di Letterature comparate all'università di Cagliari, in cattedra da Tel Aviv a Malta, dagli Stait Uniti (Notre Dame) ad Aarhus (città danese nello Jutland), da Harvard al Trinity College di Dublino, ricorda l'analisi di Michele Filippini che nel 2011 sottolineava “l'accostamento di Barack Obama a Gramsci” negli studi di Bill Ayers e Saul Alinsky. Un articolo rimarcava la “Gramsci revolution in America”. Per non dire dell'impatto nel mondo arabo del filosofo nato ad Ales nel 1891 anche dopo l'ultimo convegno al Cairo con Giuseppe Vacca, Patrizia Manduchi, Tahar Labib, Ferial Ghazoul, Nadia Ramsis Farah per non citare altri politologi non solo mediorientali. «Nel mondo arabo – dice Pala – c'è stato un picco di interesse dopo le varie primavere a cominciare da quella tunisina dei gelsomini. Gli studi, sempre approfonditi, si concentrano attorno al concetto di società, intendendo quella classe borghese che non riesce mai ad affermarsi a livello governativo anche con le sue connotazioni islamico-moderate. Tra questi segnalo Gilbert Achcar, un teorico del passaggio democratico attraverso un'ampia alleanza che potrebbe anche includere le forze moderate dei Fratelli Musulmani in Egitto».

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Su quali concetti si insiste maggiormente sul pensiero gramsciano?
«Fra tutti il concetto di egemonia: con un dibattito strettamente legato a quello sullo Stato o sugli Stati nazionali, con l'idea di uno Stato che possa essere rappresentativo anche per la maggioranza della popolazione e non un governo militare o un presidenzialismo che poi si trasforma - come la cronaca recente insegna - in una dittatura. Il pensiero di Gramsci rimane di una attualità tanto universale quanto sorprendente, basti pensare a quanto sta avvenendo oltre Atlantico, in America latina. E anche lì si studia Gramsci, più di prima».

Nelle considerazioni generali, Gramsci è considerato più un filosofo o più un comunista?
«Da tempo, direi da almeno un decennio ma potrei spingermi ulteriormente indietro, si impone la figura del filosofo a tutto campo. Sempre meno Gramsci viene definito comunista anche perché oggi questo termine - in alcuni settori anche accademici oltre che nell'opinione comune – ha assunto in modo strumentale, direi più partitico che politico, una connotazione negativa. Ciò soprattutto in diversi Paesi dell'Occidente, Italia docet. Se interrogassimo alcuni politici su egemonia, blocco storico, rivoluzione passiva non credo otterremmo risposte congue. In diversi settori la non conoscenza del vero pensiero gramsciano è elevatissima».

E nell'America oggi governata da Donald Trump?
«In questo caso siamo proprio davanti all'anatema nonostante siano stati compiuti studi seri su Gramsci anche da parte di forze conservatrici statunitensi. In generale si può dire che il Gramsci nordamericano è un pensatore essenziale per le rivendicazioni delle minoranze e per la complessa questione dei diritti civili. Gramsci è studiato in tutti gli atenei, senza alcuna eccezione. Magari in edizioni talora sintetiche, l'autore de “I quaderni del carcere” figura tra i grandi esponenti del pensiero occidentale. Oggi, come ho già detto, è molto studiato nel mondo arabo: alcuni concetti, come quello di intellettuale organico sono entrati a far parte del vocabolario culturale delle classi intellettuali arabe grazie a figure gramsciane arabe come Edward Said».

Negli Usa, Gramsci è molto citato da Gayatri Spivak, filosofa di origini bengalesi attiva nel campo degli studi postcoloniali e del femminismo.
«La Spivak, che un anno fa ha voluto vedere i luoghi gramsciani in Sardegna, da Ales a Ghilarza fino al Dettori di Cagliari e al quartiere della Marina dove abitava durante gli studi liceali, ha contribuito a saldare le rivendicazioni delle minoranze occidentali con quelle dei Paesi con un passato colonialista a cominciare dall'India. Anche in questo caso Gramsci diventa filosofo globale come tutti i grandi pensatori. Un collettivo di storici autorevoli coordinato da Ranajit Guha di Calcutta ha letteralmente riscritto la storia dell'India moderna. E Guha parte proprio dalla teoria delle classi subalterne per cui Gramsci è ritenuto e riconosciuto come suo maestro. Ruolo fondamentale ha avuto il libro di Giuseppe Fiori, tradotto ovunque».

Un “maestro” ritenuto tale in diversi ambienti negli Stati Uniti.
«Certamente. Potrei citare al riguardo, usando Michele Filippini, gli studi di John Fonte, socio senior all'Hudson Institute e direttore del Center for American Common Culture. Nel 2000, prima dell'evento spartiacque dell'attentato alle Torri Gemelle, Fonte scrisse due articoli sulla guerra tra culture: una, su una sorte di vendetta titolato Gramsci's revenge, Reconstructing American democrazy e un altro sui paralleli fra Gramsci e Tocqueville. Sosteneva che il progressivismo, dagli anni Sessanta in poi, ha giocato una battaglia di decostruzione dei valori della società americana colpendo soprattutto i diritti individuali e la tradizione culturale dell'Occidente. Si analizza Gramsci, classi subalterne in primis. Di segno diverso la lettura da destra di Robert Chandler che in The Gramsci strategy parla addirittura di infiltrazione gramsciana nei media».

Usa, mondo arabo e asiatico. E Gramsci in Europa?
«Molto presente. Si parla di gramscismo e molto spesso di hegelo-gramscismo. E non da oggi. Ai tempi della Thatcher i riferimenti a Gramsci erano costanti quando si parlava di populismo autoritario, cultura popolare, intellettuale, ideologia e perfino di razza ed etnicità. Ovviamente la destra conservatrice forzava e forza a proprio uso il pensiero di Gramsci».

Davanti a tanta complessità, col tentativo di eliminazione della storia dai programmi scolastici, oggi si pensa di cancellare lo studio della filosofia.
«Viviamo un momento culturale semplicemente devastante. Sorge il sospetto che, dopo gli ambiziosi proclami degli accordi di Lisbona e Bologna sugli studi superiori nella Ue, prevalga una sciatta mentalità tecnicistica che vuole solo operatori e non cittadini. Sotto tale aspetto Gramsci, in questi giorni, incontra Adriano Olivetti in un convegno a Losanna. È il ritorno del pensiero umanistico, la proposta del cittadino responsabile, dotato di attività critica, vincente anche a livello aziendale. Gramsci voleva questa società: responsabile, cosciente, appunto».

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