La Nuova Sardegna

“Fango rosso” di Diana scelto al Torino Film Festival

di Fabio Canessa
“Fango rosso” di Diana scelto al Torino Film Festival

Il territorio dilaniato del Sulcis tra inquinamento e promesse mancate  «Lo sguardo della mia generazione» nel documentario del giovane regista sardo

27 novembre 2019
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SASSARI. Bellezza e desolazione. Nel Sulcis si abbracciano, si confondono. Rappresentano le due facce di un territorio in cui il fascino del paesaggio si scontra con una storia di promesse mancate. Alberto Diana, trentenne nato e cresciuto a Iglesias, lo conosce bene. Come tanti ha deciso di partire, ma non ho mai smesso di farvi ritorno. E studiando cinema è arrivato naturale il desiderio di raccontare la sua terra attraverso un film. Un progetto intitolato “Fango rosso” che è stato selezionato per il Torino Film Festival, dove sarà presentato in anteprima venerdì.

Unico lavoro sardo in quest’edizione dell’importante manifestazione cinematografica, inserito nella sezione Italiana Doc dedicata ai documentari italiani. “Fango rosso”, il titolo fa riferimento al residuo provocato dall’estrazione mineraria, è prodotto dalla Slingshot Films di Manuela Buono con il sostegno della Regione (legge cinema), della Fondazione Sardegna Film Commission e il fondo audiovisivo Friuli Venezia Giulia. Il documentario si presenta come un viaggio intimo nella decadenza della colonizzazione industriale e ha per protagonisti due amici del regista, Mattia Mullanu e Damiano Vacca, ripresi mentre vagano tra le rovine minerarie e sentieri di campagna. «Le tracce della colonizzazione industriale sul paesaggio – spiega Alberto Diana – sono state oggetto del mio sguardo sin da bambino. Ai tempi quel paesaggio desolato mi trasmetteva un certo fascino, stimolava la fantasia. Con il tempo, acquisita una coscienza politica e vedendo i miei coetanei partire uno dopo l’altro alla ricerca di possibilità che il Sulcis non poteva offrire, le rovine delle antiche miniere e delle fabbriche sono diventate lo specchio della frustrazione e dell’impotenza della mia generazione».

Una pesante eredità del passato, molto sentita da Alberto Diana che ha sempre pensato di realizzare un film a partire dai paesaggi abbandonati del Sulcis. «L’idea mi accompagnava da tempo – racconta il regista – finché il progetto non ha preso vita nel corso degli studi che ho fatto a Barcellona all’interno del Master en Documental de Creación, dove ho sviluppato la prima stesura di “Fango rosso”. In un primo momento ho immaginato un documentario corale che chiamasse in causa personaggi e testimoni di diverse età e provenienza, per costruire un racconto a più voci sul territorio. Facendo ritorno in Sardegna però, mi sono reso conto che per tracciare un discorso filmico autentico avrei dovuto abbandonare completamente le convenzioni del genere e riavvicinare il mio sguardo a un punto di vista generazionale».

Ecco così l’intuizione di coinvolgere due amici, Damiano e Mattia, con i quali da adolescente aveva vissuto tante avventure negli stessi luoghi abbandonati. «Ho intuito che dietro i volti, i gesti e le parole dei miei amici si nascondesse il potenziale. Un film in cui loro sarebbero stati i protagonisti insieme al territorio. Ho voluto così proporgli un viaggio tra i paesaggi abbandonati del Sulcis: un movimento nello spazio che è anche un movimento nel tempo, per trasmettere un sentire su un luogo ferito e raccontare una forma di incontro con la propria terra d’origine». Per dare maggiore libertà ai protagonisti, creare un senso di intimità e affiatamento nel corso delle riprese, Alberto Diana ha puntato su una troupe leggera formata da una direttrice della fotografia e un operatore con cui già avevo studiato e collaborato a Barcellona, Mireia Salgado Ramos ed Eduard Fisa Giménez, e dal fonico sardo Roberto Cois. Al montaggio, al quale ha lavorato insieme al noto regista Alessandro Comodin, l’idea di inserire una voce fuori campo. Quella del regista. «Ho deciso di scrivere e registrare una voce off in prima persona, con cui creare una triangolazione insieme ai due protagonisti e al paesaggio. Una voce che si esprime con un “noi” ispirato non soltanto all’oralità sarda, ma anche alla scrittura di Sergio Atzeni». Fonte d’ispirazione per Diana che ricorda come lo sia stato anche per Paolo Angeli, in particolare per l’album “S'ù” da cui il regista ha preso un pezzo per la colonna sonora del suo film.

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