La Nuova Sardegna

Storia del giorno sanguinoso in cui finì la nazione sardesca

di Franciscu Sedda
Storia del giorno sanguinoso in cui finì la nazione sardesca

“Sanluri 1409. La battaglia per la libertà della Sardegna” di Franciscu Sedda rievoca lo scontro, per lungo tempo dimenticato, che cambiò le sorti dell’isola

02 dicembre 2019
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Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento di Franciscu Sedda contenuto nel libro “Sanluri 1409. La battaglia per la libertà della Sardegna” (ArkadiaEditore 172 pagine, 18 euro)

* * *di Franciscu Sedda

Non si tratta di fare la storia di una battaglia, ma di situare la battaglia di Sanluri dentro una storia. Una storia più ampia, più ricca, più significativa della battaglia stessa. È lì, in questa storia, che ritroviamo i valori e i sensi di quelle sofferenze, di quei vissuti passati. E al contempo li apriamo ad una reale condivisione popolare: dunque non solo ad un necessario continuo lavoro di ricerca intellettuale ma anche di rammemorazione collettiva, di elaborazione del lutto, di potenziale traduzione in pratica e attualizzazione creativa dei valori custoditi dal passato.

In altri termini il tempo della storiografia fondata sulle battaglie è finita ma non è finita la battaglia per la storia: «La storia intellettuale dell’umanità si può considerare una lotta per la memoria. Non a caso la distruzione di una cultura si manifesta come distruzione della memoria, annientamento dei testi, oblio dei nessi». Se vale, e io credo che valga, questa magnifica (e straziante) frase di Jurij M. Lotman, fondatore della semiotica della cultura, è evidente che lottando per una memoria noi lottiamo al contempo per l’esistenza stessa di una cultura, di un collettivo portatore di istanze proprie.

Dunque, lottando per la memoria noi lottiamo per una conoscenza storica continuamente ravvivata, per fare delle storie che ereditiamo qualcosa di vivo, per vivere attraverso le storie che indagando nel passato contribuiamo a scrivere. Può sembrare sconveniente, ma bisogna costantemente domandarsi attraverso quali storie viviamo; attraverso quale senso e sensi del passato percepiamo più o meno consapevolmente il presente in cui siamo immersi e il futuro che abbiamo davanti. (…)

Il nostro presente ha riportato in auge sa Battalla e con essa un carico di tensioni per la coscienza attuale dei sardi. Da un lato titoli di quotidiani e telegiornali raccontano sempre più spesso la ricorrenza come la battaglia in cui sardi persero l’indipendenza. Dall’altro c’è un’oggettiva difficoltà per i sardi stessi a riconoscersi attraverso l’evento. Ho raccontato molte volte quanto mi capitò durante la rievocazione del 2007. Dopo la timida accoglienza riservata ai figuranti con l’Albero verde, usciti peraltro da una zona del “campo di battaglia” abbastanza nascosta e distante dal pubblico, i figuranti catalano-aragonesi entrano in campo passando sotto le tribune in cui è assiepata la maggior parte delle persone accorse a Sanluri. L’accoglienza è ovviamente molto più calorosa. Ma ciò che veramente manda in crisi le persone a me vicine, schierate nella zona laterale della rievocazione, è che oltre alla bandiera con i Pali catalani l’esercito catalano-aragonese sventola i Quattro mori. Ma non aveva detto il gracchiante altoparlante che “noi”, i sardi, siamo gli altri? Scatta una confabulazione collettiva, da cui ovviamente mi astengo dall’intervenire. Alla fine una signora rinfrancata, e desiderosa di condividere il sollievo, mi dice: «Sa cosa è successo?», rispondo ovviamente di no e lei prosegue: «È che i sardi non ne potevano più degli oristanesi, di quelli di Arborea, e per liberarsene sono passati con gli altri!». Avrei voluto dire, in modo accalorato, alla signora che non era affatto così e che lo dicevo a ragion veduta. Ma in fondo che colpa ne aveva la signora? La giustificazione trovata al volo da lei e parte degli astanti per risolvere la “dissonanza cognitiva” di quanto stavano vivendo non era forse figlia di quella sconfitta che lì veniva messa in scena? Non era forse l’esito del depositarsi nel senso comune dell’interpretazione della storia post-sconfitta, quella data oltre 500 anni prima da Giovanni Fara e poi da tante altre autorevoli figure con lui e dopo di lui?

Bisogna dunque prendere sul serio questi dubbi, queste confusioni, queste dissonanze – «Perché i sardi, perché quelli che mi dicono essere i sardi, hanno un albero verde come bandiera? Perché gli avversari sventolano, oltre ai pali catalani, i quattro mori? Non dovrei parteggiare per questi ultimi dunque?» – e anche a questo vorrebbe servire questo libro.

Resta tuttavia il fatto che i traumi della memoria e della coscienza non si curano in un giorno. Sempre che si riesca a curarli. O non prevalga la paura di mettersi in discussione. In ogni caso è probabile che se nella coscienza futura dei sardi la storia del medioevo, e in particolare quella del suo lungo epilogo, troverà un posto in parte lo si dovrà anche alla forza evocativa, in più sensi contraddittoria, sprigionata dalla battaglia di Sanluri. È altrettanto probabile tuttavia che una volta che la battaglia avrà agito come testa d’ariete, a ritornare al centro della memoria saranno non soltanto altre battaglie, come quella vincente di Sant’Anna, quanto piuttosto ciò che porta a sintesi e simbolo il meglio di quella tensione dei sardi alla libertà, all’unità, all’esistenza.

© 2019 ARKADIA EDITORE

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