La Nuova Sardegna

Pablo Volta, il fotoreporter poeta che raccontò la Sardegna

Giacomo Mameli
Pablo Volta, il fotoreporter poeta che raccontò la Sardegna

L’uomo e i suoi immensi scatti sono stati celebrati a Cagliari. Eppure gran parte dell’opera resta ancora sconosciuta

01 gennaio 2020
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CAGLIARICronache di un mito tra gli "inviati" di fuori nella Sardegna di dentro. Perché con le sue fotografie in bianco e nero, Pablo Volta ha restituito il verismo di una Sardegna arcaica «che mi apparve come un'immagine dell'Odissea, un'isola di Omero». Prima di lasciare Parigi (lavorava alla Rai) e prendere la residenza a San Sperate, attratto dal genio di Pinuccio Sciola e dei primi murales in un paese che diventava museo, inizialmente si è fermato e formato in Barbagia. Orgosolo e Mamoiada lo hanno accolto come fosse nato sotto tra Osposidda e Locoe o tra i filari di vite a Loretatesu.

È stato il primo a capire il valore del Carnevale con mamuthones e issohadores senza alcun consumo turistico, per Cicerone un giovanissimo Mario Paffi, tra le anime culturali oggi più propositive in Sardegna. Ha immortalato un'Ogliastra ancora da preistoria, un trenino tra i boschi che neanche il Far West, il sacro e il profano attorno alla figura e alla festa di Sant'Ignazio da Laconi. E ancora la festa della Madonna delle neve a Desulo, il Corpus Domini, le corriere della Sita a Nuoro, velluti gambali e berritte, gonne a campana e fazzoletti in testa, cavalli bianchi sul Supramonte, fucili spianati, gare poetiche, bancarelle con anguille e muggini arrosto, il riposo del pastore-guerriero su un prato, al riparo di un muretto a secco. E volti, occhi loquaci di donne giovani e vecchie, sole e in gruppo, in processione dietro uno stendardo del Rosario o del Sacro Cuore o in piazza per una festa laica. Tenores e carabinieri con armi lunghe.

Immagini che in parte si possono vedere nel volume pubblicato da Ilisso nel 2007 col coordinamento editoriale di Salvatore Novellu. Quando poi, Pablo, constata che Orgosolo «in questi ultimi trent'anni è stato stravolto» e che è «prigioniero del suo passato», ripone nel cassetto le sue Rolleiflex e le sue Minolta, quasi «archiviando l'età della pietra della fotografia». Ha fatto come il suo quasi contemporaneo francese Henri Cartier-Bresson: osservando una «metamorfosi nella vita dell'uomo e delle città», dagli anni '60 alla morte (L'Isle-sur-laSorgue, 2004) «l'occhio del secolo» non ha più fatto un solo scatto.

Ma la maggior parte dei lavori di Volta sono ancora sconosciuti. Sono oro storico e iconico allo stesso tempo: la sua produzione è conservata negli archivi dell'Istituto regionale etnografico di Nuoro. Quanto sarebbe utile conoscere, o scoprire per la prima volta, i suoi lavori. Documentava con le immagini tutto ciò che vedeva: a settembre del 1996, a Perdasdefogu, aveva ripreso le pie donne girare inginocchiate attorno alla chiesa campestre di San Salvatore, nella valle degli orti. Aveva detto che erano «dee pagane attorno a un tempio cristiano». Pablo Volta è stato fedele alla sua coerenza, ai suoi miti, alla sua purezza, alle analisi dell'antropologo pugliese Franco Cagnetta che era stato «scacciato dall'Accademia», come aveva detto a un cronista nel 1994 nella sua casa di Trastevere a Roma. Perché è stato Cagnetta, con la sua monumentale e dirompente "Inchiesta su Orgosolo", pubblicata nel 1954 sulla rivista "Nuovi Argomenti" diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci, a ispirare il lavoro di Volta. La rivista fu fatta sequestrare dal reazionario ministro dell'Interno dell'epoca, Mario Scelba. Per Pablo quell'atto di censura fu una ragione in più per correre verso l'isola dei nuraghi e vedere, toccare con mano, documentare delitti e faide ma anche i soprusi di carabinieri e poliziotti.Nato a Buenos Aires nel 1926 e morto a Cagliari nel 2011, amava «la Sardegna mitologica che non c'è più».

E quando Sciola - lo scultore che ha dato voce alle pietre - gli diceva che «il cambiamento è comunque positivo» non si era fatto convincere a riprendere tra le mani un obiettivo per proseguire nel foto-giornalismo da inchiesta nella Sardegna che cominciava a conoscere industrie, ciminiere, nuove scuole, una Sardegna che si era soprattutto liberata da un banditismo feroce che la marchiava a verro fuoco nel mondo. Pablo aveva già dato. E Sciola, un altro gigante della cultura sarda del Novecento, anche a malincuore, aveva dovuto prendere atto. La stagione sarda di Volta è stata rievocata a Cagliari al Teatro Massimo, per iniziativa dell'associazione Tina Modotti, grande fotografa del XX secolo. La direttrice artistica, Alessandra Piras ha così voluto «celebrare i 65 anni dal primo viaggio di Pablo in Sardegna», che era per lui «luogo protetto e protettivo» e «si sentiva in sintonia con l'isola».

Carlo Di Bella ha analizzato in profondità alcuni aspetti della fotografia in Sardegna fra gli anni Cinquanta e Sessanta, e i diversi contributi della rappresentazione collettiva dell'isola nel sogno della Rinascita. Volta non usava solo teleobiettivi ma «si trovava immerso in una rete sarda di contatti sociali». Parla della vita da partigiano nelle Alpi Apuane. Di Ornella, vedova di Pablo, per dipingere il marito «mosso dal genuino desiderio di conoscere». È l'isola della "Società del malessere" di Peppino Fiori. Racconta della prima macchina fotografica comprata a Berlino scambiandola «con una stecca di sigarette e una scatola di latte condensato».

E i contatti con "Il Mondo" di Mario Pannunzio ed Ennio Flaiano. «i villaggi chiusi in se stessi», attitadoras, "l'intera isola orgolosizzata". Negli anni '70, per il sequestro della famiglia inglese Schild, The Guardian titolò in prima pagina "Sardinia kidnapping". Sbagliava il giornale, ma era quella la realtà non solo percepita. Lo storico Luciano Marrocu inquadra Volta «nel mare in cui nuotava, in un ordine sia politico che intellettuale», parla di Mario Dondero, del padre giornalista corrispondente de La Stampa, le foto con l'Olimpo del cinema francese, della madre friulana. Il regista Giovanni Columbu presenta un bel documentario, l'identità è in primo piano, le foto «certificano la totale assenza di gesti inutili». Detta legge l'essere, non l'apparire. Nino Landis restituisce il Pablo a San Sperate, i suoi cani, la gita a San Simone di Gergei che appare un villaggio polifemaico. Scorre il filmato di Columbu, Cagnetta, Franco Pinna, Roma, via del Babbuino, Peppino Marotto, "una signora di Fonni". E quella Sardegna copia-incolla dall'Odissea.

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