La Nuova Sardegna

«La poesia rende più dolce la vecchiaia»

di Roberta Sanna

Andrea Giordana racconta lo spettacolo “Le ultime lune” di Furio Bordon che oggi a Olbia inaugura la tournée in Sardegna

14 gennaio 2020
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CAGLIARI. «Un anziano decide di ritirarsi in una casa di riposo, e questo accende una polemica col figlio che fino a quel momento lo ha ospitato. È una commedia più ricca e complessa di quanto sembri, non solo è un racconto teneramente malinconico sulla chiusura di una vita, ma anche di una grande storia d’amore». Andrea Giordana parla di “Le ultime lune” di Furio Bordon, che nella messinscena di Daniele Salvo lo ha portato in Sardegna per una tournée che da stasera alle 21 al Cine/Teatro “Olbia”, sarà di seguito al Civico di Ozieri, al padiglione Tamuli di Macomer e al Civico di Sinnai, per concludersi sabato all’Auditorium dell'Istituto Mossa di Oristano.

Al suo fianco Luchino Giordana, figlio dell’attore, e, nel ruolo della moglie con la quale prosegue il dialogo anche dopo la sua scomparsa, una grande interprete come Galatea Ranzi: «Con Galatea andiamo in perfetto accordo – dice l’attore –. Il mio personaggio è ancora innamorato perso della moglie e insieme sembrano continuare il rapporto bello, ricco e denso che hanno vissuto. Ragionano sulla vecchiaia, sulla morte, su come erano allora e come sono oggi». Andrea Giordana ha affrontato molto volentieri questa interpretazione. «A suo tempo l’avevo vista fatta da Marcello Mastroianni – racconta –, fu il suo ultimo lavoro. Mi piaceva infilarmi in una tematica così, anche perché il personaggio non è un depresso, lui inneggia alla vita, legata soprattutto all’amore per la moglie. Mi è sembrato giusto affrontare un tema da adulti, in cui non si nega la morte, ma ne si prende coscienza, ci si ragiona sopra anche forse per esorcizzarla, perché l’idea di non sapere cosa ci sarà dopo, un po’ di sgomento e paura gliela mette. E poi, nonostante il tema, ci sono tante belle risate, soprattutto nei dialoghi padre-figlio». Il rapporto con il figlio è infatti combattuto, non solo per problemi intergenerazionali: «Una certa ironia aleggia sempre nei loro dialoghi. Entrambi hanno i loro difetti, ed esce quindi fuori un certo sarcasmo, con qualche punta di cattiveria, che impedisce loro di vivere un rapporto vero».

Nella messa in scena il regista propone anche un parallelo fra la condizione dei vecchi e quella dei poeti. «Questo è quello che ci dovremmo augurare – sottolinea Giordana – anche se il bilancio della nostra vita sarà scarno, se quello che lasciamo potrà avere una dimensione poetica nel vedere la vita e approcciarsi agli altri, credo che il mondo ne guadagnerebbe tanto. La poesia sublima il pensiero dell’uomo. Io amo scrivere poesie. Non è una voglia costante, ci son momenti di buio in cui non scrivi niente, altri in cui invece accade e sei felice di poter buttare su un foglio qualche pensiero, qualche frase in cui riesci a rendere poetica qualcosa che non lo sarebbe. Puoi andare a scavare in una esperienza di vita, accoglierla, osservarla, metterla sotto la lente con quella sensibilità, con quella profondità anche leggera con cui si riesce e raccontarla facendola diventare poesia». Il secondo atto, con il protagonista nella casa di riposo, diventa un grande monologo. «Lo vedremo parlare con una piantina di basilico – racconta Giordana – alla quale dà da bere, la mette alla luce. È la sua compagnia in quel luogo abbastanza terrificante, dove non c’è affetto né armonia. Parlando con la piantina capiamo molte cose su come è diretta e vissuta la casa di riposo, chi sono gli altri ospiti, fino ad arrivare al finale che non sveliamo».

Il pubblico, racconta l’attore, reagisce con empatia alla pièce. «Forse con un po’ di malinconia, ma non la finisce più di ringraziarci. A parte chi non vuole proprio pensare al tema – conclude Giordana – chi decide di entrare dentro le riflessioni e le congetture del personaggio si unisce in maniera bella e forte al racconto». Così il pubblico si ritrova e si appassiona a un argomento che riguarda tutti.



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