La Nuova Sardegna

Sulla lingua sarda tesi inattendibili

di Simone Pisano *
Sulla lingua sarda tesi inattendibili

L’ipotesi fantasiosa che il latino derivi da sa limba e non viceversa

16 gennaio 2020
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Ultimamente si leggono prese di posizione di studiosi “indipendenti” che, in polemica con il mondo scientifico “ufficiale” e accademico, espongono tesi alternative a un apparato teorico e metodologico di studi e conoscenze consolidatisi nel corso di almeno due secoli.

Poiché, ormai da qualche lustro, mi occupo soprattutto del sistema verbale di molte varietà sarde sono, ovviamente, le teorie “rivoluzionarie” inerenti alla genesi storica del sardo quelle che più destano la mia attenzione. Non credo sia il caso, in questa sede, di contestare gli argomenti con i quali si pretende di dimostrare come il sardo moderno (lingua romanza sorta a seguito della frammentazione locale delle diverse varietà parlate di latino) sia in realtà una lingua antichissima, concepita come quasi immutabile nel tempo e nello spazio, da assumere alla base dello stesso latino (che, peraltro, sempre seguendo le medesime argomentazioni, dovrebbe essere non una lingua naturale ma una specie di Golem linguistico creato combinando basi lessicali originariamente sarde con morfemi flessivi di origine greca).

Cercando però di trovare un filo conduttore a tutte le tesi più o meno eccentriche su lingua, storia e civiltà della Sardegna mi pare di cogliere almeno un elemento comune, neppure troppo originale: nella storia dell’umanità la Sardegna sarebbe, in ultima analisi, sempre e comunque arrivata “prima”. La cultura nuragica e prenuragica, per esempio, avrebbe sostanzialmente segnato il cammino a tutti gli altri popoli del bacino del Mediterraneo e i nostri antenati avrebbero parlato una lingua da cui, più o meno indirettamente, numerose altre lingue avrebbero tratto origine. A questo proposito confesso candidamente che non mi è chiaro, tenendo per buone le recenti teorie “innovative”, quali sarebbero gli effettivi rapporti di parentela linguistica tra sardo e le altre lingue neolatine né se una notevole presenza di corrispondenze sistematiche debba essere attribuita a una lontana origine comune o a una bizzarra lotteria del caso.

Il problema della storia della Sardegna e della sua adeguata conoscenza è senz’altro reale: i libri di testo utilizzati nella scuola forniscono spesso informazioni cursorie e superficiali. Neppure sembra farsi strada una decisa volontà politica in favore di una società realmente plurilingue e, aggiungo, ancora carente e dispersa appare l’opera di documentazione del nostro complesso patrimonio linguistico. Tuttavia, pensare di riscrivere la storia linguistica della Sardegna partendo dal mitico “primato” della sua lingua ci riproietta in una dimensione prescientifica e ingenua che certo non giova alla reale crescita della nostra terra.

Peraltro, non mi pare che il prestigio di una lingua e della cultura che questa esprime sia da mettere in relazione alla sua capacità di rimanere uguale a sé stessa nel corso del tempo o, anche, al numero di varietà linguistiche che da essa si sarebbero sviluppate. L’inglese è andato modificandosi drasticamente a partire dal Medioevo in poi e, storicamente, non è certo la lingua più antica parlata nel Regno Unito, per quanto abbia subito il prestigio di altre lingue di cultura (si pensi a una buona parte del suo lessico di origine francese e latina), infine, è oggi ampiamente studiato e diffuso, senza che a nessuno venga in mente di giustificare la sua importanza con improbabili primati storici.

* Ricercatore di Linguistica applicata all’Università “Guglielmo Marconi” di Roma.

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