La Nuova Sardegna

La natura selvaggia delle isole Faroe, il reportage di tre fotografi sardi

Federico Spano
La natura selvaggia delle isole Faroe, il reportage di tre fotografi sardi

Dieci giorni nel meraviglioso arcipelago nell'Atlantico del nord. Il diario di viaggio di Marcello Chiodino, Riccardo Gutierrez e Matteo Oppo

17 gennaio 2020
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SASSARI. Uniti dalla passione per la natura, tre giovani fotografi sardi hanno deciso di partire per dieci giorni nell'arcipelago delle Faroe. Un luogo selvaggio e scenografico nell'oceano Atlantico del nord. Il reportage fotografico di Marcello Chiodino, di Arzachena, Riccardo Gutierrez, di Sassari, e Matteo Oppo, di Oristano, è straordinario. Abbiamo chiesto ai tre di raccontare il loro viaggio alla scoperta di questo meraviglioso arcipelago, che sembra la location perfetta per un film fantasy, ecco il loro racconto.

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L'arcipelago delle Faroe. «La comune passione per la fotografia insieme ad un forte desiderio di scoprire la bellezza di paesaggi selvaggi e remoti ci ha spinti a visitare l’Arcipelago delle Isole Faroe, situato tra l’Islanda e la Norvegia, nella regione Sub-Artica del globo. Un territorio, questo, dove la natura detta i suoi ritmi e li impone al visitatore: le nevicate e le piogge improvvise si alternano a distanza di pochi minuti le une dalle altre, spinte da venti instancabili che evolvono in pochi istanti fino ad assumere il rango di tempesta, fermando il tempo, congelando ogni possibilità di spostamento. Tutto intorno cambia, muta aspetto in maniera anche repentina; e lo stesso territorio assume forme e colori che non possedeva un attimo prima. Dicembre non è certo il mese ottimale per intraprendere un viaggio in queste regioni. Siamo stati attratti tuttavia dalla presenza certa, in questo periodo e a queste latitudini, di poche ore di luce e dall’intima speranza di assistere al fenomeno dell’Aurora Boreale, volendo peraltro riuscire a produrre scatti significativi capaci di raccontare i paesaggi invernali di questi luoghi straordinari».

Prima tappa. «La prima tappa, a tempi forzati, ci ha condotti, dopo due voli, a Copenaghen. Qui è iniziata, come previsto, la nostra avventura con il volo diretto per l’Aeroporto di Sorvagur, nell’isola di Vagar. Il programma di viaggio, pianificato già qualche mese prima, aveva proposto di trascorrere poche notti in ognuna delle isole maggiori dell’arcipelago. Abbiamo pertanto accettato questa soluzione anziché dover pernottare in un’unica località per tutta la permanenza, costringendoci a spostamenti continui anche se di corto raggio, considerata soprattutto l’estensione piuttosto ridotta dell’intero territorio delle Faroe. Abbiamo ritenuto anche, con questa scelta, di poter vivere occupando le abitazioni tipiche dell’arcipelago, fatte di legno con il tetto coperto di erba, a contatto diretto con i diversi proprietari, per scoprire, attraverso la conoscenza personale, le peculiarità dei dintorni e delle popolazioni che vi abitano».

Meteo. «Il meteo, poco prima della partenza da Copenaghen, aveva preannunciato venti oltre i 50 nodi e forti temporali, tanto da far temere che il volo venisse addirittura cancellato o comunque di gran lunga rinviato. Tutto è andato, fortunatamente, per il meglio, tanto che al nostro arrivo alle Faroe siamo stati accolti da un sole splendente, ovviamente basso poco sopra l’orizzonte considerata la latitudine, con un vento appena accennato. Si offriva ai nostri occhi uno scenario surreale, fatto di casette che sembravano uscite dalla trilogia fantasy de “Il Signore degli anelli”, popolato da pecorelle che pascolavano in ogni dove (Faroe in antico norvegese-vichingo significa “Isola delle pecore” e se ne contano più di 70.000 sparse per l’Arcipelago) sotto un cielo stupendo che non aveva bisogno di nessun filtro per apparire cosi colorato, con tonalità che andavano sfumando dal rosa all’arancione. E’ stato fin da subito forte l’impatto con la Natura di questa parte di mondo. L’acqua è una componente onnipresente, insieme al vento. Mai avevamo visto cosi tanti ruscelli che terminano con altrettante cascate che vanno a gettarsi nell’Oceano Atlantico da scogliere alte e impervie, creando scenari naturali più unici che rari.

Isola di Vagar. «I primi due giorni trascorsi nella prima Isola, quella di Vagar, ci hanno permesso di svolgere uno dei trekking più belli del nostro programma: abbiamo così raggiunto il lago Leitisvatn sopra l’oceano, senza dubbio uno dei laghi più spettacolari al mondo che si erge per diverse decine di metri dalle fredde acque dell’oceano Atlantico. Èquesta un’area che racchiude perfettamente tutti gli aspetti del paesaggio contenuti nell’intero Arcipelago, fortemente caratterizzata dalla presenza di elementi naturali anche visivamente opposti: le acque calme del Lago a fronte di quelle burrascose dell’oceano, le quinte innevate delle montagne circostanti a sovrastare vallate variamente colorate e ricche di fauna. E ancora, zone di calma silente alternate ad altre nelle quali raffiche impetuose impediscono la stabilizzazione necessaria per scattare anche una fotografia. Cascate, fauna, ruscelli, dislivelli e forme del territorio creano effetti ottici tali per cui l’osservatore resta incredulo davanti a tanta magnificenza della natura, con la percezione immediata di un mutare continuo del paesaggio al solo spostarsi di pochi chilometri. Ogni isola, seppure ubicata in posizione molto prossima alle altre e collegata a queste da tunnel che sembrano scavati a mano nella roccia, presenta una propria forte identità. Dalle vallate colorate di verde e arancione dove la fauna si sposta libera da recinti di ogni sorta agli imponenti rilievi con le cime innevate, accessibili solamente dallo sguardo del viaggiatore».

Il litorale dei fiordi. «Percorrendo il litorale dei fiordi si scorgono gli allevamenti di pesce che costituiscono il principale sostentamento economico dei circa 50mila abitanti presenti nelle Faroe e, sulla costa, i piccoli villaggi che ospitano poche decine di case. Anche i caratteristici cimiteri diventano motivo di interesse, affacciati sull’oceano in un panorama da cartolina. Sembra quasi impossibile capire come l’uomo, secoli fa, sia riuscito a insediarsi stabilmente in queste terre a prima vista così inospitali, carenti anche oggi di gran parte dei confort propri dell’era moderna, adattandosi a vivere dentro una natura apparentemente ingovernabile. In questo periodo dell’anno i territori, anche quelli antropizzati, sembrano assolutamente disabitati. Non si vede nessuno aggirarsi nelle strade principali o nei vicoli dei villaggi. Si potrebbe pensare di trovarci da soli in queste terre se non fosse per le luminarie che adornano, anche qui, ogni finestra e cornice delle casette faroesi. Sembra proprio che nessuno abbia voglia di accogliere un turismo fuori stagione. Raggiunte le isole del Nord dell’Arcipelago, nell’area di Vidoy tutto cambia. Il paesaggio si appiattisce diventando ghiacciato e immerso in un gran freddo. Le tempeste di neve si fanno più violente, tanto da costringerci a lungo in attesa di miglioramento dentro la nostra auto, in balia delle forti raffiche. Il mare è in tempesta ma sembriamo preoccuparcene solo noi. Le pecorelle, le anatre e gli uccelli passeggiano tranquillamente nelle piccole spiagge vulcaniche dell’isola come se quelle condizioni meteo costituissero la normalità, perchè in effetti sono la normalità».

Un altro mondo. «È un'altra parte di mondo questa, tanto affascinante quanto apparentemente abbandonata a se stessa. È qui che la natura si riposa e si risveglia con rinnovata energia. Il viaggio alle isole Faroe è prima di tutto un incontro con se stessi, ti fa capire che si è piccolissimi di fronte alla potenza di un ecosistema che detta le proprie regole. È alle Faroe che abbiamo fatto il tifo per quella natura antica che nonostante tutto, ancora, non trova la forza di difendersi dalla crudeltà di riti e tradizioni locali (la mattanza annuale delle balene ne è un esempio). Le Faroe devono invece essere il passaporto per accedere a una comprensione più intima e sensibile di quello che è l’ambiente naturale, di quanto debba essere rispettato e temuto poiché se ne fa parte, dove il visitatore, finalmente, è costretto ad abbandonare la presunzione tipica dell’uomo che tutto crede di poter controllare e addomesticare».

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