La Nuova Sardegna

«Con le canzoni di Sanremo ritroviamo il tempo perduto»

di Angiola Bellu
«Con le canzoni di Sanremo ritroviamo il tempo perduto»

Artisti, classifiche, polemiche: tutto nelle 700 pagine del libro di Eddy Anselmi «Ecco perché gli italiani fanno il tifo. Amadeus? Impappinato ma sincero»

21 gennaio 2020
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MILANO. È iniziato il conto alla rovescia per Sanremo: da martedì 4 febbraio milioni di italiani staranno davanti al piccolo schermo per assistere alla gara canora italiana più famosa nel mondo. Un rito che – iniziato alla radio – si ripete dal 1959, come Eddy Anselmi ci racconta nel suo nuovo libro “Il Festival di Sanremo. 70 anni di canzoni cantanti e serate” (DeAgostini, 700 pagg, 19,90 euro). Una “bibbia” per gli appassionati. Anselmi – che quest'anno sarà tra i protagonisti dell'Altro festival, il nuovo Dopo-festival proposto su RaiPlay – ha scritto una chicca ricchissima di storie e curiosità, per collezionisti e amanti della musica sanremese: 700 pagine di serate, canzoni, interpreti, classifiche, vincitori e vinti – ci sono anche i dietro le quinte – e si arriva sino alle ultime edizioni in cui c'è stata l’esplosione sui social. Ma non è Sanremo senza una scivolata, una polemica che lo precede e, nel segno della tradizione, quest'anno è toccata ad Amadeus, che in conferenza stampa si è lasciato sfuggire frasi dal sapore sessista sulla bellezza delle co-conduttrici e sulla capacità di «stare un passo indietro al proprio compagno», scatenando una bufera sui social, alla quale ha aderito anche parte del mondo universitario.

«La comunicazione si è un po' inceppata – dice Anselmi – Amadeus non ha espresso benissimo il concetto ma era in buona fede. Capisco le critiche ma in conferenza stampa uno tende un po' a impappinarsi». Il critico getta acqua sul fuoco alimentato da un divertente video che alterna le frasi retrò del conduttore a reazioni allibite di personaggi, prese da film e cartoni animati. Ma perché Sanremo è Sanremo? Eddy Anselmi racconta ai lettori della Nuova qual è l'incantesimo che ci investe in questo periodo dell'anno. «Sanremo arriva dopo le feste di Natale e prima della primavera: un tempo indefinito caratterizzato da un evento tutto italiano. Da settant’anni fa parlare di sé e anche quando è un flop è un successo che in altri contesti sarebbe stellare. La gara canora che ci accompagna dagli anni Cinquanta è specchio di un'epoca. Cosa ci spinge ogni anno a sacrificare una settimana davanti al piccolo schermo per assistere a Sanremo? Sanremo ci regala oggi quelli che saranno i ricordi di domani. Ascoltando i brani di questo o di quel Sanremo verremo proiettati come in una macchina del tempo in quel particolare momento della vita. Le canzoni di Sanremo ci segnano. Basta ascoltarne una di quando facevamo la terza media e ci vengono in mente i compiti, il tempo della scuola… Pagnoncelli – che tra gli anni ’90 e i Dieci del Duemila ha sovrinteso alla raccolta dati – dice che Sanremo è lo specchio del Paese».

In che senso? «Quando si dice che Sanremo è andato male significa che ci sono due milioni di spettatori in meno. Può essere un insuccesso commerciale per la pubblicità, dal punto di vista sociale non cambia niente: ci sono sempre nove-dieci milioni che seguono la trasmissione. Questo moltiplicato per 60 milioni di potenziali utenti per settant'anni è uno specchio totale. Le canzoni devono vendere ed è necessario che il pubblico si identifichi; devono ricordare un po' lo spirito dei tempi. Nessuno oggi comprerebbe una canzone degli anni Cinquanta».

Dal 1967 è cambiato qualcosa. «L'improvvisa scomparsa di Luigi Tenco ha fatto riflettere tutti. Dall'anno successivo Sanremo ha iniziato a puntare sula qualità rinunciando ad essere solo divertimento per tutti». Lei sostiene che la formula vincente sia il concorso di canzoni: rimane questa l'anima di Sanremo? «Se non fosse un concorso di canzoni Sanremo sarebbe finito. È fondamentale sapere quale canzone è prima, seconda, terza... Fare il tifo. Poi possiamo metterci le vallette, il presentatore simpatico, quello antipatico, il comico, il polemista, ma senza gara Sanremo chiude».

Scrive che quando Sanremo nasce racconta un paese ingenuo e desideroso di leggerezza. È ancora così? «No. Sanremo è diventato molto più pesante. Si propone non quello che il Paese desidera ma quello che si vorrebbe che desiderasse. All'epoca, il modello estetico era quello dell'anteguerra. La letteratura e il cinema ebbero un'accelerazione dopo la guerra, mentre la canzone continuava a trasmettere lo stesso genere di brani che si ascoltavano prima. È stato il Festival ad introdurre innovazioni nel repertorio: certo non il rock'n'roll, ma “Volare” ricorda i Platters, l'America».

Cosa cambia con la fruizione con il doppio schermo (computer, cellulare, tablet)? «I giovani non hanno più lo snobismo che avevano gli attuali quarantenni e cinquantenni di oggi quando erano ragazzi. Adesso Sanremo è un dato di fatto, lo si guarda, lo si commenta. Non si pensa più che sia invadente, che voglia monopolizzare». Cosa pensa della visione collettiva di Sanremo, evento che accade solo con la Nazionale di calcio? «È un peccato che l'Auditel non abbia i mezzi per misurare questi dati fuori standard. Se si potessero vedere i dati in tempo reale sarebbe molto più interessante. L'Auditel misura il numero di persone che vedono la tv a casa con pochi ospiti e il gruppo di ascolto è ancora, per l'istituto, una anomalia comportamentale».

Come si aspetta il prossimo Sanremo? «Tutti siamo direttori artistici e Ct della Nazionale. Amadeus speriamo faccia un bel Festival. C'è varietà, ci sono una serie di repertori che possono piacere ai più giovani. Sparisce la Giuria di qualità e tornano a votare gli orchestrali: vedremo come andrà. La lezione di Baglioni non si è dispersa e questo per me è l'importante».

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