La Nuova Sardegna

La Divina Commedia nell’isola dei Sardi

di GIULIO FERRONI
La Divina Commedia nell’isola dei Sardi

“L’Italia di Dante” di Giulio Ferroni, un reportage letterario

15 febbraio 2020
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Tra i personaggi di maggior rilievo tra quelli conosciuti personalmente da Dante è il giudice Nino, cioè Ugolino della famiglia guelfa pisana dei Visconti, nipote del conte Ugolino della Gherardesca (di cui suo padre Giovanni aveva sposato una figlia), giudice in quanto signore dal 1275 del Giudicato di Gallura, esiliato da Pisa nel 1288 e impegnato con la parte guelfa (anche in stretto contatto con Firenze, dove certo frequentò Dante) sul continente e in Sardegna, nel tentativo di tornare in patria, fino alla morte avvenuta nel 1296. Nella valletta dei principi negligenti dell’Antipurgatorio, Nino chiede a Dante che ricordi alla figlia Giovanna di pregare per lui, mentre è convinto che la vedova Beatrice d’Este non se ne curi più, dal momento che ha abbandonato lo stato vedovile ed è passata in seconde nozze con un Visconti di diversa famiglia, Galeazzo, figlio di Matteo, signore di Milano (il matrimonio avvenne in realtà solo nell’estate 1300, qualche mese dopo la data immaginaria del viaggio dantesco). Non senza risentimento, il giudice Nino proietta l’immagine della sua ex moglie verso il comune destino mortale, dicendo che la vipera dello stemma dei Visconti di Milano non farà alla sua tomba lo stesso onore che le avrebbe fatto il gallo, rosso in campo giallo, stemma della Gallura: Non le farà sì bella sepultura/la vipera ch’e’ Melanesi accampa,/com’avria fatto il gallo di Gallura. (Purgatorio, VIII 79-81). Nel contrasto tra i due emblemi, tra gli opposti Visconti, tra Milano e la Gallura, l’orgoglio familiare si carica di un forte valore simbolico: il biscione, la vipera (che fa accampare i milanesi, è il vessillo del loro campo di battaglia) è ben nota immagine di violenza e di frode, mentre il gallo lo è di solerzia e operosità mattutina.

Oggi la Gallura appare perlopiù riversata sulle sue coste, sul contraddittorio orizzonte turistico, sull’azzurro delle distese marine, sui colori squillanti dei promontori, sui contorni luminosi delle sue isole, sugli artificiosi villaggi turistici che hanno deformato inesorabilmente tanti paesaggi. Nelle loro forme più lussuosamente “esclusive”, questi villaggi hanno trascinato molta vipera, molto milanese biscione sulle coste già sotto il segno del gallo: Porto Cervo, Costa Smeralda, Billionaire ne sono l’emblema. Luoghi fuori di questo percorso dantesco; e fuori ne resta anche il luogo in cui è rimasto il segno di un’altra storia, di un’umanità e di una moralità che sembrano scomparse dal nostro orizzonte, la Caprera di Garibaldi, con la casa segnata dalla sicura, operosa, modesta razionalità laica dell’eroe, resistenza di un’antica virtù sotto un moderno ardore di giustizia e libertà. Porto Cervo contro Caprera? Forse ancora scontro simbolico tra vipera e gallo?

Una traccia del gallo di Gallura pensiamo di trovarla comunque nell’interno della regione, risalendo verso la città di Tempio Pausania, che sorge sul sito della romana Gemellae, che nel Medioevo si trovava dentro la curatoria di Gèmini, una delle zone amministrative in cui era diviso il Giudicato di Gallura. Dalla costa all’altezza di Vignola mare si sale verso Aglientu e si attraversano rilievi granitici, zone boscose, tratti pianeggianti: Tempio (a cui all’inizio del ’900 è stato aggiunto Pausania, nome della più antica diocesi di Gallura, di origine comunque non ben identificabile) appare con la sua ordinata struttura, di impianto perlopiù settecentesco, anche se con altre tracce, soprattutto del periodo aragonese. Il centro è dominato dal grigio della pietra granitica, nelle facciate delle case e nel pavimento delle strade. Hanno una loro raccolta dignità la cattedrale di San Pietro e il vicino oratorio del Rosario, col suo timpano ricurvo dentato che ha al centro il solito campaniletto a vela.

Difficile trovare qualche traccia medievale, ma dalla piazza di Gallura, dove è l’edificio del Municipio, si può prendere la via Nino di Gallura, dove si trovano i resti della facciata di una casa fatta in gran parte di pietre di concia, con una porta e due finestre contornate da mostre in blocchi di granito (sopra il tetto, più indietro, sono come appollaiate altre costruzioni più recenti). Una tradizione locale, certo immotivata e improbabile, vuole che sia proprio la casa del giudice Nino di Gallura, che comunque dovette risiedere qui per tempo ben breve. Vediamo che non lontano al suo Gallo di Gallura è comunque dedicata l’insegna di un bed and breakfast; e troviamo infine una piccola trattoria piacevole, La gallurese, che offre i piatti della cucina tradizionale.

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