La Nuova Sardegna

Una città che si è perduta soffocata da scelte sbagliate

ANTONIETTA MAZZETTE
Una città che si è perduta soffocata da scelte sbagliate

Curato da Mazzette il libro “Sassari. Tra declino e un futuro possibile”

19 febbraio 2020
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Pubblichiamo una parte dell’intervento di Antonietta Mazzette dal libro “Sassari. Tra declino e un futuro possibile” (140 pagine, 14 euro), appena uscito per Rubbettino.

* * *ANTONIETTA MAZZETTE

La frattura che si è creata tra città e territorio è contemporanea all’avvio nel secolo scorso del processo di modernizzazione dell’isola – fine anni Cinquanta e inizi anni Sessanta –, ma ha subìto un’accelerazione dagli anni Ottanta in poi. Ciò perché la produzione primaria (anzitutto orti e oliveti, con una importante presenza di aziende zootecniche) è stata indebolita dal consumo del suolo e da forme di dispersione urbana che si esplicitano in modo visibile nella varietà delle tipologie abitative e del complessivo patrimonio edilizio: dalle case unifamiliari a quelle a schiera, fino alle nuove forme di abitare urbano della campagna. Va ricordato che la varietà abitativa è sempre corrispondente alle differenziate capacità economiche e alle domande sociali di cui sono portatrici le popolazioni che si insediano nel territorio vasto. D’altronde, questa frattura è resa visibile dal «muro» di Predda Niedda – un’area situata a occidente rispetto al centro di Sassari, nata nei primi anni Settanta come industriale, ma rapidamente diventata la sede della grande distribuzione – che materialmente ben rappresenta l’idea che la città compatta si è rinchiusa in sé stessa, dimenticando le potenzialità economiche e produttive che ancora sussistono nel suo vasto territorio, uno dei più grandi comuni d’Italia.

CULTURE DEL LAVORO. Si tratta di cambiamenti strutturali che hanno modificato nel profondo la città e il territorio vasto e che si collegano direttamente alle trasformazioni più generali dei sistemi produttivi e alla capacità di mobilità di capitale. A partire dalla crescente presenza della grande distribuzione che, però, a differenza delle regioni del Nord dove continua a esserci anche la produzione materiale, nel nostro territorio non induce nuove domande in termini di innovazione tecnologica, di servizi alle imprese, specializzate e non (legali, assicurativi, bancari; e anche di pulizia, ristorazione, ricreazione, e così via).

MANSIONI BASSE. Ovvero la grande distribuzione, così come si è insediata, costituisce una scarsa ricchezza per la città, sia perché non comporta altre economie e culture del lavoro, sia perché non produce quelle infrastrutture organizzative e gestionali necessarie per l’esecuzione delle operazioni globali, sia perché si limita a produrre poche professionalità che esigono che una limitata quantità di lavoro e di mansioni non qualificate sia messa a loro disposizione. Inoltre, insieme ai cambiamenti della distribuzione delle merci che hanno inciso negativamente sulla città, si è aggiunto il fatto che molti servizi urbani importanti sono stati «sparpagliati», contribuendo notevolmente a impoverire Sassari, in termini di efficienza urbana, tanto nella sua parte più compatta, quanto in quella che in un passato recente ancora costituiva un’area a vocazione agricola.

MOBILITÀ PRIVATA. La crescita volumetrica senza sviluppo ha ovviamente aggravato tutti quei problemi legati all’accessibilità, non solo come fruizione dei servizi, ma anche e soprattutto come mobilità efficiente e sostenibile. In pochi decenni la mobilità è cresciuta, in particolare quella individuale e privata, diventando così un problema non solo di carico ambientale, ma anche di fruizione delle risorse. Se poi aggiungiamo il fatto che la popolazione urbana tende a diventare sempre più vecchia, con scarso ricambio generazionale, appare evidente che le difficoltà ad accedere ai servizi distribuiti in un vasto territorio sono destinate ad aumentare nel prossimo futuro, soprattutto se la mobilità continuerà a fondarsi sull’uso del mezzo privato. Rispetto a questo problema sociale e ambientale insieme, finora non vi sono stati interventi correttivi finalizzati né a rivedere complessivamente l’organizzazione urbana e neppure a introdurre elementi di regolazione della mobilità, come d’altronde viene chiesto dalle politiche europee, fin dalla Carta di Aalborg del 1994.

RIORGANIZZARE GLI SPAZI. Sassari non ha dimostrato alcuna sensibilità verso la sollecitazione ad andare nella direzione del principio di sostenibilità che, nel caso specifico, si sarebbe dovuta tradurre in un ripensamento dell’organizzazione urbana e nella concretizzazione del principio di rendere «funzione ausiliare» l’uso del mezzo di trasporto privato, come risultato «naturale» di una riorganizzazione degli spazi e delle funzioni, giacché, i servizi locali e la distribuzione delle attività economiche sono una componente importante, quando non prevalente, del buon funzionamento della città.

NODI IRRISOLTI. Viceversa, anche da questo punto di vista sono rimasti molti nodi irrisolti, visto che la mobilità continua a essere per così dire in balia del disordine automobilistico, così come la città nella sua interezza stenta a entrare nell’ordine di idee che sarebbe necessario rovesciare drasticamente la prospettiva con cui ci si dovrebbe muovere: meno auto e più mezzi collettivi, ai quali andrebbero aggiunte le aree pedonali e le piste ciclabili (le prime, compresi i marciapiedi, non dovrebbero essere mescolate con le seconde, come invece è stato fatto in anni recenti). Solo così, probabilmente, i cittadini si renderebbero conto che la città potrebbe essere molto più confortevole, quindi anche più bella, così come ormai avviene in molte città italiane ed europee. Accanto a questi aspetti strutturale, vanno aggiunti quelli socio-economici e demografici. Sono soprattutto questi ultimi a dirci quale futuro si prospetti per Sassari: aumento dei nuclei famigliari con un solo componente, per lo più vecchio; tasso di fertilità che ha ormai il segno negativo, anche perché si è spostata in avanti l’età media delle donne che decidono di fare un figlio. (...)

BANCO DI PROVA. Si può invertire la rotta? Sì, a condizione che fin d’ora si applichi un altro modello di sviluppo non più fondato sul consumo del suolo e delle risorse naturali. In realtà, ciò riguarderebbe più in generale la Sardegna, ma Sassari potrebbe costituire un buon esperimento che riguarderebbe la seconda città dell’Isola per grandezza e ruolo, ad esempio, rifunzionalizzando gli edifici vuoti e talvolta neppure completati – è sufficiente attraversare la strada che congiunge Sassari a Porto Torres, per vedere un vero e proprio «cimitero » di residui di cemento – ; restituendo all’agricoltura i territori in disuso e bonificando quelli compromessi; innescando un processo finalizzato alla produzione e distribuzione di beni primari a chilometro zero; adottando pratiche di economia circolare, a partire dalla gestione dei rifiuti che dovrebbe essere ripensata in un’ottica di riduzione drastica degli scarti, che significa ripensare alle varie dimensioni del ciclo di vita delle risorse, così come indicato dall’Unione europea che ha assunto come principio cardine la trasformazione degli scarti in risorse economiche e lavorative, con benefici per l’ambiente.

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