La Nuova Sardegna

Coronavirus, l'infettivologo Figoni ormai "algherese": "Mai visto un virus così veloce"

Alessandro Marongiu
Mario Figoni durante uno dei suoi soggiorni all'estero
Mario Figoni durante uno dei suoi soggiorni all'estero

Il contagio facilitato dalla mobilità della popolazione mondiale

24 marzo 2020
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Dalla vita di Mario Figoni, romano ormai stabilmente trapiantato con la famiglia nell'isola (anche per via delle radici sarde: il padre era di Ittiri) si potrebbero trarre intere saghe di romanzi o film. Medico infettivologo tra i più esperti, ha lavorato per quasi tre decenni tra l'Italia e l'estero, specialmente in Africa, affrontando situazioni estreme e talvolta perfino la morte; è stato capitano medico del corpo militare della Croce Rossa Italiana, e volontario fin dalla giovinezza nei luoghi colpiti da disastri naturali; maratoneta anche a livello agonistico, è da sempre un lettore infaticabile, e nel 2016 ha dato vita ad Alghero a "L'Alguer llibres llures", circuito di scambio di libri diventato in breve il primo in Italia.

Dal 1984 è stato in Africa, a curare in particolare i malati di lebbra e tubercolosi, e a formare medici e infermieri locali, e poi ancora in prima linea fuori dai confini nazionali, ad esempio in Afghanistan, fino al 2014: avrebbe mai pensato di vivere una situazione simile in Italia?

«Perché no? Vivendo all'estero per lungo tempo ho perso il cosiddetto eurocentrismo. Ho conosciuto altre culture e religioni, ho imparato altre lingue e, nel tempo, a vedere il mondo anche da punti di vista decentrati rispetto al nostro: quindi a vedere la relatività di cognizioni e posizioni che noi italiani, europei, occidentali, e diciamolo pure, bianchi e ricchi, diamo per scontate. Ho vissuto epidemie di morbillo in Guinea Bissau (era il 1987) e di colera nel Mali (1994), che hanno avuto "l'onore" delle cronache anche sulla stampa nostrana: ma più per la paura di un'importazione che altro («gli africani ci portano le malattie»...). Il fatto è che le malattie infettive, responsabili di più della metà dei decessi nella popolazione mondiale, sono ubique. Non conoscono confini. In Occidente siamo più attrezzati, abbiamo più conoscenze, più mezzi, ma siamo comunque esposti, e pur sempre "umani". E abbiamo purtroppo dimenticato che la morte è compagna indissolubile della vita: quando qualcuno muore ormai cerchiamo sempre un colpevole, nella malasanità o chissà dove altro».

È molto attivo sui social, e starà quindi vedendo, come tutti, proliferare sul coronavirus interpretazioni fantasiose, cure miracolose, audio con notizie non verificate o del tutto inventate. Vale la pena ripeterlo ancora, ed è bene che a farlo sia un medico specialista in malattie infettive: le uniche fonti attendibili e le uniche direttive da seguire sono quelle ufficiali?

«Decisamente. Siamo davanti a una pandemia, a un secolo dall'ultima devastante, che ha fatto tra i 50 e i 100 milioni di morti (la Spagnola), a 63 anni dall'Asiatica e a 52 da quella di Hong Kong. Ciò che più colpisce in questa attuale è la rapidità di diffusione. Caratteristica in parte del virus, ma in parte anche dell'ospite: mai la popolazione mondiale nella storia era stata così mobile, facilitando il lavoro dell'invasore, del virus. Poi, è anche vero che talvolta le direttive ufficiali sono opinabili: ma nessuno ha la palla di vetro, e col senno del poi è fin troppo facile giudicare».

Manca dall'Africa da un po' ma ha sempre mantenuto vivi i contatti con tante delle persone conosciute lì, e ha quindi ben chiaro il quadro della situazione nel continente: a oggi i casi di coronavirus accertati sono contenuti, ma cosa succederebbe se il virus si diffondesse su larga scala?

«L'Africa per sua fortuna non è così densamente popolata come l'Asia, e questo è di per sé un limite naturale alla diffusione delle malattie contagiose, ma oggi rispetto al passato c'è la novità che più della metà della popolazione vive nelle città, in ambiente urbano, e non rurale. Questo favorirebbe la diffusione, e quindi il numero degli infetti e dei morti».

Nel 2010, quando non si era ancora trasferito in Sardegna ma si trovava sull'isola per le usuali vacanze estive, fu contattato dai colleghi dell'azienda universitaria ospedaliera di Sassari per un caso di lebbra: come andò?

«Un giovane africano era ricoverato da mesi con una sintomatologia strana, di cui non si veniva a capo. Mi bastò vederlo e visitarlo pochi minuti per fare diagnosi e metterlo immediatamente in terapia: era affetto da una malattia rara associata a una forma di lebbra delle più aggressive, quella lepromatosa. Avevo dalla mia l'esperienza di centinaia di pazienti africani visitati nelle campagne di ricerca di casi nuovi, atte a mettere un freno alla trasmissione della malattia, e non ebbi il minimo dubbio. Trovammo poi conferma nelle indagini mirate eseguite a livello di laboratorio».

Con la chiusura delle librerie fisiche, la possibilità di leggere su carta è affidata quasi solo all'acquisto on-line. Ad Alghero ci sono però le postazioni del bookcrossing: dove si possono prendere e lasciare i libri in questi giorni così difficili?

«Nelle attività che avevano aderito al circuito e che sono rimaste aperte: lavanderie a gettoni, poste private, negozi di generi alimentari. Per i dettagli, rimando alla pagina Facebook del network. Lavate i piumoni, fate la spesa, poi prendete un libro, tornate a casa e leggetelo: e gratuitamente! Un libro può aiutarci, davvero».

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