La Nuova Sardegna

«Nelle periferie il cuore nero di un’Italia ferita»

di PIERGIORGIO PULIXI
«Nelle periferie il cuore nero di un’Italia ferita»

Nel nuovo noir “Dove crollano i sogni” il racconto di una gioventù senza futuro

12 maggio 2020
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Genova. La capitale del “Sud” del Nord. Nella letteratura poliziesca questa città viene associata a un autore, Bruno Morchio (Genova, 1954) che nel corso di quindici romanzi ha saputo raccontarla con maestria in tutte le sue bellezze e contraddizioni. Il suo Bacci Pagano, l’investigatore privato disincantato e dal cuore d’oro che si muove tra i caruggi, è una figura di spicco nel noir italiano. Nell’ultimo romanzo, “Dove crollano i sogni” (Rizzoli, 18 euro), Morchio prende una pausa dal suo investigatore e regala ai lettori una storia del tutto diversa. Protagonista è una diciassettenne, Blondi, originaria di Certosa, quartiere disagiato nella periferia post-industriale genovese. Da casa sua il mare è troppo lontano. L’unico panorama è composto da casermoni popolari, capannoni dismessi e piazzette di cemento grezzo costruite all’ombra del grande ponte autostradale. Anche le persone che ci abitano si portano addosso lo stesso grigiore, quasi che il quartiere li avesse inglobati a sé.

Blondi si sente in gabbia. Vive con sua madre, un’OSS che lavora in un ospizio e che la sera si addormenta avvinazzata davanti a trasmissioni trash. Suo padre, Blondi, non l’ha mai conosciuto. Ora che tra due mesi compirà diciott’anni, la ragazzina sente di averne abbastanza di quella vita fatta di miseria e disillusione. È giovane, ma animata da un’intelligenza luciferina che la porterà a convincere Cris, il suo bello e inetto fidanzato, a seguirla in un piano molto pericoloso pur di realizzare il sogno di lasciarsi tutto e tutti alle spalle. Morchio è molto abile nel tratteggiare le psicologie contorte di questi adolescenti disincantati, restituendo con nitidezza il mal di vivere che alligna in quelle periferie dimenticate dalla politica e diventate riserva di caccia per la piccola criminalità.

Blondi è una ragazza cresciuta prima del tempo, incattivita dalla miseria e dalla prospettiva di una vita in tutto e per tutto simile a quella della madre che disprezza.

«La giovane bella, spregiudicata, lucida, calcolatrice che sembra sentimentalmente incapace di investire, se non su se stessa, era già presente nel romanzo “Il profumo delle bugie” del 2012, con il personaggio di Dolores. «Nei miei romanzi la figura topica della dark lady sembra declinata solo nella versione adolescenziale, quella della dark girl. Di recente ho letto il romanzo di Dard, “Gli scellerati”, pubblicato da Rizzoli: anche lì la voce narrante è quella di una diciassettenne di periferia che distrugge la propria vita e quella degli altri inseguendo un sogno folle. La differenza sta nel fatto che Louise insegue un sogno d’amore, mentre Blondi un miraggio di bella vita dove gli altri rivestono scarsa importanza e sembrano accessori funzionali allo scopo».

La sua esperienza come psicologo e psicoterapeuta maturata negli anni passati immagino che l’abbia portata ad avere uno sguardo privilegiato verso questi giovani di periferia per cui anche sognare sembra essere un lusso.

«Ho lavorato in un consultorio familiare pubblico e mi sono occupato di adolescenti, molti dei quali provenivano da situazioni di emarginazione sociale, di deprivazione culturale e affettiva, di mancanza di opportunità. Mi interessava centrare il fuoco su questa generazione a cui è stato rubato il futuro. In val Polcevera, dove si svolge il romanzo, il numero di giovani tra i quindici e i venticinque anni che non studiano, non lavorano e non si formano è altissimo e in questo Blondi, Cris e la loro compagnia rappresenta un campione tipico, altamente rappresentativo della condizione giovanile delle periferie».

Questa storia è parecchio diversa rispetto a quelle che ha scritto in passato.

«Questo romanzo è stata la risposta a caldo al trauma, che ha colpito tutti i genovesi, del crollo del ponte Morandi. Se non c’è un trauma da elaborare non si scrivono romanzi, e nel mio caso ho sperimentato questa verità sulla pelle. E non ho trovato altro modo, per affrontare l’urto, che esplorare quello che c’era sotto quel ponte attraversato in automobile migliaia di volte: una valle che è stata un importante distretto industriale e che ora vive una condizione di marginalità che merita di essere indagata a fondo, anche dalla letteratura».

In questa storia di adolescenti disillusi e inveleniti da una vita grama, l’unico personaggio positivo è Pablo, un ragazzo di origini peruviane che a differenza dei compagni si è ancorato al lavoro.

«Pablo è figlio di una coppia unita, un padre e una madre che si amano, che ha fatto il “grande salto” dell’immigrazione e che ha sperimentato la possibilità di migliorare, attraverso il lavoro, la propria vita. Il lavoro per lui è non solo strumento di emancipazione economica, ma anche fattore di crescita e affermazione personale. Questo supporta un senso etico solido, una chiara visione del bene e del male. Il percorso degli altri ragazzi della compagnia è inverso: vengono da una cultura, quella del liberismo degli anni Ottanta e Novanta, che ha alimentato aspirazioni che si sono rivelate fallaci e bugiarde (il guadagno facile, il consumo illimitato, l’egoismo sfrenato). La realtà con cui questa generazione deve fare i conti è quella del precariato, della disoccupazione, della stagnazione sociale, quella che ne fa una “generazione di scarto”».

Nutre delle speranze che prima o poi venga fatta giustizia per le quarantatré vittime?

«La vicenda è nelle mani della magistratura, e la procura genovese è composta da magistrati seri, competenti e onesti. Tocca a loro fare giustizia. Quanto alla politica, è bene che non si metta troppo di mezzo finché non saranno chiarite fino in fondo le responsabilità».

La ricostruzione del ponte può avere un valore simbolico tanto forte da far rialzare Genova anche a livello economico?

«Questo è un tasto dolente. Personalmente sono felice se avremo un nuovo ponte in tempi rapidi. Mi spaventa invece la retorica della semplificazione senza ulteriori specifiche: l’Italia è sicuramente rallentata da una burocrazia inefficiente, ma questo non giustifica la riedizione di una deregulation di cui abbiamo patito le tristi conseguenze: per esempio nell’assegnazione degli appalti: non si può lasciar mano libera alle imprese in un Paese dove allignano le tre organizzazioni mafiose più potenti del mondo. E questo vale per la tutela del territorio, per il fisco, per la commistione tra economia legale e illegale, e tra economia e politica».

La pandemia avrà gravi ripercussioni socio-economiche nei prossimi mesi e anni a venire. Per il noir potrebbe essere un’occasione per tornare a raccontare la “strada”, affrancandosi da un puro ruolo di intrattenimento?

«Speriamo. Personalmente è quello che ho sempre cercato di fare».



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