La Nuova Sardegna

Jazz in Sardegna, quarant’anni di super concerti

di Andrea Massidda
Jazz in Sardegna, quarant’anni di super concerti

Storia della più longeva rassegna isolana. Sul palco tutti i big della musica internazionale 

15 maggio 2020
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I primi applausi furono tutti per il dottor Lester Bowie, con il suo camice bianco, la sua tromba e quegli straordinari compagni di viaggio riuniti sotto il marchio di qualità dell’Art ensemble of Chicago. Nomi leggendari: Roscoe Mitchell e Joseph Jarman ai sassofoni, Malachi Favors al contrabbasso, Famoudou Don Moye alla batteria. Era il 19 maggio del 1980 e il Teatro Massimo di Cagliari, con le pareti impregnate dal fumo delle sigarette e le seggioline di legno tipiche dei vecchi cinematografi, appariva pieno come un uovo: oltre tremila paganti entusiasti per un vero e proprio live act in cui ogni artista sul palco concorreva all’esecuzione dei brani mettendo in scena le sue idee sonore. Free jazz e recupero in chiave moderna dell’intera tradizione musicale afroamericana. Roba tosta anche per i palati più avvezzi alle avanguardie. Eppure fu una serata memorabile che segnò ufficialmente la nascita del festival “Jazz in Sardegna” – il primo in assoluto nell’isola – e contemporaneamente l’ingresso della città tra le capitali del jazz internazionale.

L’elenco mozzafiato. A quella data storica di esattamente quarant’anni fa, infatti, ne seguirono tante altre impensabili per una terra che all’epoca faticava a levarsi di dosso un’immagine agropastorale o tutt’al più esotica. Nel giro di pochi anni, ospiti della rassegna – che ebbe varie location: dall’anfiteatro romano al quartiere fieristico – arrivarono, tanto per fare qualche esempio, mostri sacri come Miles Davis, Dizzy Gillespie, Art Blakey, Stan Getz, Gil Evans, Keith Jarrett, Winton Marsalis, Al Jarreau, Don Cherry, Max Roach, Herbie Hancock, Freddie Hubbard, Joe Zawinul, Cecil Mc Bee, Billy Cobham, Milton Nascimiento, Tito Puente, Chick Corea, Sun Ra, Joe Cocker, Bob Dylan, Manhattan Transfer, Enrico Rava, Andy Summers, Ray Charles, Gilberto Gil, Hermoeto Pascoal, Caetano Veloso, Celia Cruz, Paco De Lucia, John Mc Laughlin, Michel Petrucciani, James Brown, Dee Dee Bridgewater, Fela Kuti, King Sunny Adè, B.B. King, Ornette Coleman, John Zorn, George Benson, Mongo Santamaria, Khaled, Willie Colon, Jorge Ben Jor, Jimmy Smith. Insomma, un elenco impressionante che si può ritrovare al completo in qualsiasi enciclopedia sui giganti della musica.

La genesi. Non c’è dunque da chiedersi il perché un giorno come il 19 maggio 1980 vada ricordato e celebrato anche in una situazione di semi-lockdown come questa che tutti stiamo vivendo. Semmai c’è da domandarsi come fu possibile che in una città allora periferica rispetto ai grandi circuiti della musica riuscì a crearsi, anche tra il pubblico, un’effervescenza tale da trasformare un concerto estemporaneo in un festival eccezionale (ai tempi equiparato a Umbria Jazz) e capace di essere contagioso nella stessa Sardegna (si pensi ai festival che seguirono di lì a poco: da quello di Sant’Anna Arresi a “Time in Jazz” di Berchidda, da “Calagonone Jazz” a “Musica sulle Bocche”). E la risposta sta nell’entusiasmo di un gruppo di amici come Massimo Palmas, Walter Porcedda, Sandro Capriola, Pietro Zambelli e Luciana Atzeni, appassionati e bravi a intuire lo spirito del tempo. Anche se a far diventare una macchina da guerra l’energia di quel team furono soprattutto i magici incontri con due personaggi: Isio Saba, fotografo ozierese con preziosi contatti nell’ambito del jazz afro-americano e architrave indiscutibile dello sviluppo della musica jazz in Sardegna, e poi Alberto Rodriguez, raffinato intellettuale cagliaritano, giornalista e critico di jazz, grande mentore e ispiratore delle strategie culturali di Jazz in Sardegna. Uno zoccolo duro al quale sin da subito si unirono professionisti come il regista Rodolfo Roberti, e tanti altri amici, tra i quali la moglie di Rodriguez, Cristina Scano, lo scultore Pinuccio Sciola, il giornalista Riccardo Sgualdini, e per un breve periodo anche lo scrittore Sergio Atzeni.

Il contesto storico. Tuttavia, un ruolo non secondario per la nascita e la futura crescita della rassegna lo giocò il contesto storico. «Con l’arrivo degli anni Ottanta – ricorda il giornalista Walter Porcedda – Cagliari provava a risvegliarsi da un periodo di sonnolenza culturale, i suoi abitanti avevano una grande sete di concerti importanti. Abbastanza per invogliare i pionieri di “Jazz in Sardegna” a proseguire con altri appuntamenti, sino a creare un vero e proprio festival». Così l’ensemble capitanato da Lester Bowie, allora al massimo del suo fulgore, «con la sua musica di spiazzante avanguardia alla quale facevano da robusto corollario un rigoroso impegno politico e una presenza scenica fuori dal comune», come ricorda l’allora giovane inviato della Nuova Sardegna Piergianni Arlotti, sembrava perfetto per dare il via al new deal della città. «La quale – sottolinea Pietro Zambelli – rispose con straordinario entusiasmo».

Il docufilm. Gli eventi eccezionali che seguirono restano nella mente di tante persone e sono stati in gran parte documentati da Rodolfo Roberti, che ha realizzato un lungometraggio dal titolo “Il vento e le onde” montando i vecchi filmati dei concerti, le interviste con gli artisti e una serie di gustose scenette riprese nel backstage. Immagini capaci di far venire la pelle d'oca a tutti i jazzofili, come quando nell’opera si riconosce il musicista brasiliano Hermeto Pascoal mentre esegue sul palco un brano di “water music” percuotendo con i suoi compagni l’acqua di una piscina per bambini. Tutto questo davanti a una folla di migliaia di persone. Oppure Don Moye che indossando un berretto con i “quattro mori” rivela quanto in Sardegna si senta a casa, e ancora Keith Jarret che nel bel mezzo del live abbandona il suo pianoforte per mettersi a suonare la batteria. Per non parlare del frammento video con un giovane Paolo Fresu sul palco assieme a Eivind Aarset, Dhafer Youssef, Antonello Salis e Pinuccio Sciola che arpeggia le sue “pietre sonore”. Ricordi che generano molta nostalgia, ma anche la speranza che un periodo così strepitoso possa presto tornare in altre forme e con nuovi protagonisti.


 

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