La Nuova Sardegna

Fame d’infinito, le orme di Maria Lai

Giusy Ferreli
Fame d’infinito, le orme di Maria Lai

Stazione dell’arte, nuovo allestimento negli spazi di Ulassai con una grande esposizione antologica sull’attività multiforme dell’artista ogliastrina

28 giugno 2020
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Riannodare tutti i fili di una trama fatta di arte ed emozioni ripercorrendo il cammino calcato da Maria Lai verso l’infinito. Un’impresa non da poco per il direttore del museo “La stazione dell’arte”, Davide Mariani, che nel nuovo allestimento, il primo post Covid 19, ha voluto dare le coordinate per immergersi nell’universo dell’artista di Ulassai. “Fame d’infinito”, questo il titolo della mostra antologica, propone attraverso le opere, di cui due inedite, l’insaziabile curiosità che spingeva Maria Lai verso orizzonti sempre più lontani. La collezione restituisce, nella sua totalità, l’esperienza creativa di Maria Lai: dalle sculture ai disegni a matita e su china, dai telai ai libri e alle tele cuciti e i celebri pani, dalle geografie alle installazioni e agli interventi ambientali. Fili che si rincorrono in un percorso che, questa volta, potrà essere apprezzato anche dai non vedenti grazie all’esperimento voluto da Mariani. «Alcune opere sono state riprodotte fedelmente in polvere di gesso, le copie tattili si possono leggere con le mani» sottolinea il direttore che inaugura la mostra con una scultura. Un volto di donna che dopo aver preso forma sotto le mani dell’artista ulassese può rivivere grazie al tatto anche tra le mani dei visitatori che seguendo l’itinerario cronologico e tematico possono assistere all’evoluzione di Lai. Si parte dai disegni. Il primo è un ritratto del 1941 dal tratto naturalistico. Passano appena pochi anni che il tratto del secondo disegno – ancora una volta un ritratto – diventa più essenziale e stilizzato. Ma è nell’opera “Il viaggio”, che fa parte della prima personale di Maria Lai risalente al 1956 e viene definita dai critici di segno maschile, che l’artista infrange gli stereotipi.

Lei piccola donna sarda, approdata negli anni quaranta alla scuola di Arturo Martini dal quale impara la lezione fondamentale sul pieno e vuoto, deve attingere a tutte le sue risorse per far valere la sua arte in un mondo declinato al maschile. E lo fa proseguendo caparbiamente la sua vorace ricerca d’infinito, reinterpretando la quotidianità delle sue radici. Gli anni ’70 sono anni di ricerca e sperimentazione che la portano a confrontarsi con “l’Arte povera”. Materiali scarni, quasi grezzi, si trasformano in entità artistiche. Così gli oggetti di uso quotidiano come il telaio, tanto caro alle donne della sua Ulassai: “il Telaio del meriggio” e “il Telaio della terra” si stagliano nella bianca parete del museo a ricordare quanto i riti quotidiani delle donne sarde abbiano influenzato la sua opera. Alla stessa maniera il pane, cibo per il corpo e per lo spirito, prende forma e si trasforma. Nell’esposizione, inaugurata ieri nella vecchia stazione ferroviaria destinata ad accogliere le produzioni artistiche donate da Lai al borgo sotto i Tacchi e a favorire il dialogo tra i principali esponenti del panorama contemporaneo, il pane diventa cibo imperituro.

L’unica cesura cronologica della mostra, nella sala al pianterreno che ospita anche un’installazione multimediale dove è possibile vedere le interviste alla scultrice ogliastrina, è riservata al pane che nel 2006 è il protagonista principale della mostra del Man di Nuoro. E che, grazie ad un gioco di specchi in grado di creare un’illusione ottica straordinaria, si riflette (quasi) all’infinito quasi a saziare quella fame. L’arte e la vita si fondono in quest’opera dalle suggestioni profonde. «Maria ha voluto un museo, non un mausoleo e qui va in scena la vita» dice Mariani che ha fatto i salti mortali per tenere a battesimo il nuovo allestimento della collezione permanente. Che al primo piano riserva altre sorprese. Qui, accolti da un monumentale varano di otto metri cucito dall’artista, i visitatori si trovano di fronte una testimonianza delle collaborazioni dell’artista con le realtà del luogo: il tappetto realizzato nel 1981 dalla cooperativa “Su Marmuri” raffigurante le caprette, un altro totem della sua produzione. Ma c’è spazio anche per le sue geografie, con I fili che nell’universo tratteggiano percorsi e indicano destinazioni. Non è un caso, infine, se la mostra si conclude con “Lettere a Gramsci”.

Nella grande tela grezza appesa alla parete, ci sono le lettere immaginarie che Maria scrive al grande intellettuale sardo intessendo con lui un fitto dialogo. Un omaggio a Gramsci accomunato all’artista ogliastrina dall’idea che l’arte non possa prescindere dalla vita che si nutre di nuove trame. E di nuove trame si può parlare anche per l’ingresso della Fondazione di Sardegna nel consiglio d’amministrazione della Stazione dell’arte. L’inaugurazione della mostra ha segnato ufficialmente l’ingresso dell’istituzione isolana, diventata socio sostenitore di quella dedicata a Maria Lai grazie alla nomina dell’avvocato Angela Mameli. «Si tratta di un ulteriore passo in avanti per la Fondazione – ha dichiarato Gian Luigi Serra, sindaco di Ulassai e presidente della Fondazione – che, nell’ampliare i suoi partner istituzionali, rafforza in questo modo la sua missione di valorizzare e promuovere l’importante lascito che Maria Lai ha donato al suo paese natale».

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