La Nuova Sardegna

Ida s’allevadora, donna coraggio nel cuore dell’isola

di Savina Dolores Massa
Ida s’allevadora, donna coraggio nel cuore dell’isola

Al centro del romanzo la figura di un’ostetrica tosco-campana che arriva a Foghesu nel 1939

29 giugno 2020
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Giacomo Mameli è un custode della Memoria, nato così: sorti. Lui si ostina, schivo, a definirsi “un semplice cronista”, ma l’arte dell’ascolto poi trascritta anche in questa sua ultima opera, lo siede di diritto tra gli ammalati di sciagura vissuta dai veri romanzieri. Soprattutto quando, su certe Memorie, a dirne se ne scopre la rovina del dimenticato. Ma l’autore è ostinato e cerca perfino la voce dei tarli nei cassetti di mobilia invecchiata e salvata, così, rendendole onore per ciò che ha contenuto e visto, e lui vuole urlare c’è, assieme al siamo stati. Ed è qui che l’arte dell’ascolto ha senso durante il lento trasformarsi nell’arte del racconto. Dove noi precipitiamo costretti a ritornare individui vedenti, se non ancora definitivamente corrotti dal presente.

La Memoria è signora con pretese, Mameli la tiene tra le mani baciandola, prima di stendere ai suoi piedi stuoie d’erbe e sillabe e pietre di fuoco perché lei possa camminare fino a noi, e ci guardi. E noi ripartorisca, se davvero alta desidera esserci la schiena e la direzione del passo ora perduto.

“Hotel Nord America” (Edizioni Il Maestrale) è il titolo di un romanzo con pagine da lacrimarci sopra, per tutta la bellezza perduta, adesso sbeffeggiata da troppi. Una rassicurazione di umanità: questo è. Un monito per ogni nostro deragliamento. Giacomo Mameli è un romanziere: si rassegni. Che poi io darei ancora una definizione più precisa. Lui è un Rabdomante. E se ancora ne fosse ignaro scruti il punto di partenza del romanzo nel quale è la propria madre la principale fonte. Madre che nel 1939 disse, Parto. E due sono i significati del vocabolo.

Ostetrica è la donna di vent’anni poco più, appena diplomata, spedita a lavorare in Sardegna, saltando il mare. Nel 1939 ventidue valigie e ventidue ragazze di ogni parte d’Italia da spargere nell’Isola, per salvare morìe col proprio mestiere, nei posti più maledetti da Dio. Il “mestiere” si diceva e si dice per le prostitute. Così vennero scambiate, desiderate, a Nuoro, giunte all’Hotel Nord America, belle e diverse. Un Hotel assediato in pochi istanti dalle voglie maschie, Quanto costi? Io ti avrò. Quel giorno servirono divise con fucili per spegnere gli incendi tra cosce con gambali più in alto del dovuto.

Questa fu la prima accoglienza sarda alle ventidue ragazze ostetriche, all’improvviso dentro un paradiso di scorci ammalianti per gli occhi, e il vuoto dello sconosciuto paese da scoprire nella loro destinazione assegnata.

Servì coraggio.

Serve a me, ora nel ruolo di dover sedurre con le parole per avvicinarvi alla lettura della storia, e ne sono incapace, perché sedotta da Mameli irrimediabilmente. L’autore si impone di generosità irrefrenabile, di curiosità di bimbo mai perduta, di desiderio nell’offrirci tutto ciò che sa, e fa. Lui, il rabdomante, l’acqua vuole disperatamente trovarla, perché ciascuno di noi mai debba soffrire sete.

La figura dell’ostetrica, protagonista di ogni pagina, la propria valigia e il proprio sé li posa a Perdasdefogu. Da qui, attraversando la Storia dell’Italia e del Mondo, non andrà più via. Imponendo in principio il proprio “mestiere”, in un luogo sbocciato a caso nel cuore grande della forca. E così avviene per ogni luogo: il caso. La donna, Ida, aiuterà per quarant’anni a far nascere nel paese 1842 creature. S’Allevadòra, in intimità totale con la puerpera, aiuta la vita al primo sforzo, poi se ne va e niente del proprio patrimonio genetico sarà tatuato nei nascituri: sempre figli di due madri. A Perdasdefogu con Ida mai accadde così. Ida fu il Villaggio di tutti.

A Perdasdefogu, col salto di Quirra e la prima Base militare costruita nel nulla di quel territorio di capre e di cibo sognato o diviso in scambi amicali. Lo Stato decise sopra i miseri residenti, portando denaro e l’inganno, rivelando che dentro il recinto di filo spinato si lavorasse per studiare le stelle. A Foghesu capirono presto la frode e la disillusione. Le stelle tornarono stalle e stuoie per dormire, amare e figliare. Le genti e i loro animali ricamminarono le valli succhiando cicuta, ma con parsimonia, non nella quantità che uccise Socrate, figlio di donna col “mestiere” di toccare per prima la vita costruita da un uomo e una donna. La cicuta, a Perdasdefogu, ubriaca gli asini.

Questo romanzo è una preghiera e un canto di gallo, è un barbiere incantato per la prima mancia al suo lavoro, lasciata da “uno di fuori”, è la semplicità che cresce evitando il superfluo, è la fame affogata con l’acqua, è banditando e pasièntzia, è una Maddalena penitente, è la canzone un’ora sola ti vorrei..., anche un rintocco scalzo di campana, del nascere e del morire.

“Hotel Nord America” nelle sue affabulazioni, nella maestria dello scherzo, nella scelta di un linguaggio scritto, specchio di quello orale, esplode pirotecnico e leggendolo si può solo aprire la bocca come nelle grandi feste dei nostri paesi sardi, vedendo i fuochi nel cielo, volati su dalle pietre di Perdasdefogu. Solo lì.

Voglio infine abbracciare ogni persona realmente esistita e conosciuta tra queste pagine. Nessuno di loro è un fantasma. E dire Coru miu, mi fa male un dito a Giacomo Mameli.

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