La Nuova Sardegna

Andrea Pennacchi: «Io e Monte ci somigliamo»

di Alessandro Pirina
Andrea Pennacchi: «Io e Monte ci somigliamo»

L’attore viceispettore di “Petra”, serie di successo su Sky con Paola Cortellesi, si racconta tra tv, cinema e teatro

10 ottobre 2020
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È il leghista super sovranista di “Propaganda live”, ma anche l’ispettore di polizia tutto saggezza e umanità che affianca Paola Cortellesi nella serie Petra”. E nel 2021 arriverà su Netflix nel ruolo di Florindo Baggio, il papà del mitico Codino. Andrea Pennacchi, 51 anni domani, è sempre più conteso da cinema, tv e teatro. E mentre si trova sul set del nuovo film di Andrea Segre si gode il successo di “Petra”, il miglior risultato di sempre per un prodotto Sky Original, con una media di 708mila spettatori per ognuno dei quattro episodi andati in onda.

Pennacchi, in “Petra” lei è Antonio Monte, un viceispettore di polizia molto diverso da quelli a cui siamo abituati a vedere in tv. Avete qualche tratto in comune?

«Monte è ovviamente diverso da me ma c’è qualche somiglianza. A tutti e due piacciono le cose semplici, goderci la vita. Anche per me la cucina è molto importante, magari accompagnata da un buon bicchiere di vino. Diciamo che queste piccole cose me lo rendono familiare. Insieme a un certo senso della giustizia. Lui è un poliziotto in crisi, chissà cosa ha dovuto ingoiare nella sua vita. Poi l’incontro con Petra cambia tutto».

E per lei come è stato l’incontro con Paola Cortellesi?

«Paola è una che sa fare qualsiasi cosa, brava in qualsiasi cosa. Ma quando ci siamo trovati assieme per le prime letture, per quanto io fossi molto intimidito, ho subito sentito che si era creato un dialogo vero tra noi. Ma bisogna dire che ci trovavamo nelle migliori condizioni possibili, visto che eravamo diretti da una regista straordinaria. A Maria Sole Tognazzi io ho giurato una fedeltà vassallatica».

“Petra” è ambientato a Genova, ma è tratto dai romanzi polizieschi della scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett. Lei conosceva già i libri?

«Sono un gran lettore, avido di un sacco di roba, ma della Giménez-Bartlett non avevo letto niente. Quando mi hanno mandato degli stralci per il provino mi sono subito imbattuto in questo personaggio bellissimo, Fermìn, da noi diventato Antonio. C’era una umanità nelle storie che raramente si trova in una proposta di serialità. E così ho iniziato a leggere i romanzi. E mi sono piaciuti molto. Ho anche conosciuto Alicia, che quando mi ha visto ha detto: “sei troppo bello per fare Fermìn”. Non me lo dice neanche mia mamma».

“Petra” rappresenta la prima volta di Sky con un prodotto da tv generalista. Lei segue i vari Montalbano e Schiavone?

«È un esperimento di proporre quell’offerta con ancora più qualità. Io sto molto in giro col teatro, ma quando posso guardo Montalbano e Schiavone».

Qual è stata la scintilla che l’ha spinta a fare l’attore?

«Ero uno che non andava nemmeno a teatro, ma un certo punto della mia vita, archiviato il sogno di fare il pilota, mi sono trovato a 20 anni senza sapere cosa fare. E così a Padova mi sono iscritto all’università e poi a un corso di teatro per esplorare questa cosa che non conoscevo. E che invece mi ha fregato».

Al cinema due film con Mazzacurati e tre con Segre. Si può parlare di cinema veneto?

«Non sono così ferrato per poterlo dire, ma ci sono certe atmosfere, un legame con il territorio che in qualche modo li accomuna. Poi però bisogna dire che Andrea fa un tipo di cinema e Carlo ne faceva un altro».

La grande popolarità arriva grazie alla tv e al web con il Pojana, il leghista veneto sovranista. Come nasce questo personaggio?

«Ho cominciato a fare un lavoro di adattamento delle “Allegre comari di Windsor” di Shakespeare, diventate le “allegre comari del Veneto”. Dentro c’era Franco Ford, che di fatto è l’embrione del Pojana. Questo è il primo step. Poi Francesca Imperato mi chiede di partecipare al progetto “This the racism” con un testo di Marco Giacosa, adattato al Veneto. All’inizio ero un po’ titubante, perché non era una cosa nelle mie corde, pur essendo ben scritta. Invece, alla fine accetto. Ed eccoci al terzo step: Makkox e Diego Bianchi lo vedono e mi chiedono di scrivere per “Propaganda”. Spiego che il testo non è il mio, loro mi dicono: facci vedere cosa scrivi tu di solito. E così nasce il Pojana».

Il Pojana è un razzista che ce l’ha col mondo intero: ha qualche possibilità di redenzione?

«È una questione di contesti. Mi arrivano tante mail e non tutte sono di minaccia. Oggi ci sono una fame e un coraggio che possono portarlo alla redenzione. Ne sono convinto. Io sono uno che non fa satira prendendo per i fondelli un personaggio, io faccio questa roba volendogli bene. Riporto frasi che sento al bar, da persone che magari poi nella vita fanno anche volontariato».

Nel 2021 sarà il papà di Roberto Baggio.

«Io non sono un tifoso di calcio, ma un rugbista. Ma fare questo personaggio è stato bello, perché l’umanità di Baggio permette di raccontare una storia che va oltre il calciatore».

Ci sarà una seconda serie di “Petra”?

«È nell’aria, ma non ho conferme. Io ci spero tanto».

L’estate scorsa è stato Jerzu al Festival dei Tacchi.

«Esperienza e gente meravigliosa. Hanno accolto lo spettacolo su mio padre con un affetto che ancora sento».

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