La Nuova Sardegna

Goffredo Fofi si racconta in “Suole di vento”

di Francesco Gallo
Goffredo Fofi si racconta in “Suole di vento”

Fuori concorso al festival di Torino il documentario di Pesoli, una vita tra ideologia e azione

25 novembre 2020
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ROMA. Il documentario “Suole di vento” di Felice Pesoli, fuori concorso alla 38/ma edizione de Torino Film Festival, ha tanti pregi: uno stupendo materiale d’archivio sull’Italia del dopoguerra, la confessione spesso autocritica di un intellettuale come Fofi da sempre animato da integralismi ideologici e, infine, il racconto puntuale del nostro Paese, quello degli anni Sessanta e Settanta, animato da un permanente dibattito politico. Tutto questo attraverso il nomadismo di questo intellettuale atipico: da Gubbio a Palermo, da Roma a Torino, da Milano a Napoli, con una lunga parentesi parigina. Una vita comunque davvero originale per un intellettuale – una parola che tra l’altro Fofi non ama - perché alla fine piena di azione, come spiega lo stesso regista: «È un personaggio in cui le idee e le azioni coincidono, una cosa rara in Italia». Fofi ha fondato decine di riviste culturali, ha scritto altrettanti libri, ha recensito migliaia di film, ma ha al suo attivo anche scioperi della fame, volantinaggi ai cancelli della Fiat e la costruzione a Palermo di una mensa per bambini poveri.

Nel film scorrono così i ricordi con Danilo Dolci, compresi quelli dello “sciopero al contrario”, la militanza pacifista, l’operaismo, la riscoperta di Totò (su cui ha scritto più di un libro), l’amicizia complicata con Elsa Morante e Carmelo Bene, l’incontro a Parigi con il regista più amato, Luis Buñuel, l’apprendistato a casa di Ada Gobetti, il sessantotto con Adriano Sofri e Mauro Rostagno, il contrasto e poi l’amicizia con Federico Fellini. Fofi racconta che una volta incontrando Fellini, questi gli chiese: «Ma perché ce l’avevi tanto con me?» E che lui gli rispose: «perché non eri rivoluzionario». Il fatto è, sottolinea nel docu, «che io mi sentivo allora colpevolmente vendicatore. E questo valeva anche per Antonioni che non essendo rivoluzionario andava punito». Fofi non nasconde, durante tutto il film, la sua critica a una società italiana molto spesso incapace di etica e coraggio. E lo fa raccontando le sue momentanee intolleranze. «Quando scrissi “Il cinema italiano. Servi e padroni” – dice con ironia – ho ricavato solo due amici: Carmelo bene e Mario Schifano. Il fatto è che a quei tempi non potevo vedere, ad esempio, Alberto Moravia e Laura Morante, perché considerati dei borghesi. La Morante una volta si infuriò con me perché avevo detto che un militante proletario era meglio di un poeta. Ma oggi penso che lei avesse ragione». Anche per il presente Fofi ha una sua formula: «Che fare? Resistere, non smettere di studiare e fare rete, ma non intendo certo il web. E, ultima cosa, rompere sempre i co...». Spiega, infine, il regista in conferenza stampa: «Questo film nasce da cinque incontri con Fofi da cui è uscita un’intervista di dieci ore, di cui ho utilizzato solo una parte». Fofi, aggiunge Felice Pesoli, «Non ha ancora visto il documentario. Mi ha detto che lo vedrà tra un mese, ma se lo conosco un po’, non credo esprimerà grandi giudizi».

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