La Nuova Sardegna

«Cambiamo passo, per costruire il futuro servono idee nuove»

di Elsa Pascalis
«Cambiamo passo, per costruire il futuro servono idee nuove»

La scrittrice e regista, ospite del festival “Pazza idea”, parla del nuovo libro e dell’Italia ai tempi della pandemia 

26 novembre 2020
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«Faccio un augurio agli uomini affinché approfittino di questo cambiamento che è una ricchezza anche per loro». Chiude con questo augurio l’intervista della Nuova a Cristina Comencini raggiunta telefonicamente nella sua casa di Roma. Regista, sceneggiatrice e scrittrice da sempre impegnata per i diritti civili e la parità di genere, sarà presente in streaming stasera alle 19:45 all’interno del Festival Pazza Idea, dedicato ai temi di “Generazione” e “Passione”. Il Festival esplora scenari sociali e culturali della contemporaneità e chi meglio della Comencini è adatta a parlare di generazioni e di passioni. Nel suo ultimo libro “L’altra donna”, racconta una storia di tradimenti, scoperte e relazioni. Dalle queste pagine, l’autrice sembra suggerirci che ogni storia è allo stesso tempo normale ed eccezionale. Tutto dipende dall’incontro, dalla conoscenza, dal confronto tra le persone plasmate dall’avversario - alleato più potente e invincibile che c’è: il tempo.

Il tempo e il suo trascorrere sembrano una costante nella produzione letteraria e cinematografica di Cristina Comencini.

«Noi siamo fatti di passato e di presente. Tanta parte di noi è quello che siamo stati e ciò che abbiamo fatto, che non abbiamo pensato ma è accaduto. Crescendo scartiamo le cose che ci fanno male, quelle che non siamo in grado o non vogliamo affrontare. Riattraversare il passato con i ricordi che si accumulano e si confondono in una sorta di album di fotografie messe in disordine non è facile. Ma ripercorrerlo risponde alla necessità di comprendere il presente e capire perché facciamo certe cose o perché non riusciamo a farne altre».

Ma l’essere umano tende a dimenticare o sceglie di farlo. Quanto è difficile ammettere il nostro passato nel presente?

«La conoscenza del passato e la sua scoperta ci permettono di cambiare. Allo stesso tempo se noi fossimo quotidianamente in contatto con ciò che abbiamo fatto, non avremmo neanche la freschezza del presente. Da un certo punto di vista è come se avessimo bisogno di tenere dentro cose che abbiamo nascosto anche a noi stessi. È un meccanismo umano, ma altrettanto umano è il bisogno di andare avanti. Tant’è che nel mio libro, Elena (una delle due protagoniste), dice “anche i genitori a un certo punto diventano degli ex”. È evidente che rimarranno per sempre dentro di noi, smettendo però d’avere la stessa potenza nel nostro presente. Serve un bilanciamento che da un lato ci obbliga a conoscere il passato sennò ci ostacola, dall’altro uscirne per andare avanti».

Si può estendere la domanda alla società?

«Sì, esiste anche la rimozione sociale. Molti giovani vivono senza sapere che le libertà e molte delle cose che hanno derivano da determinati fatti storici. La storia è necessaria studiarla e capirla profondamente per spiegarci l’oggi. In Italia, per esempio, non riusciamo a mettere da parte alcune stagioni e cominciarne di nuove. Il nostro Paese rivela una società ferma, ancora legata a categorie che sono state importanti per certi momenti storici ma che ora non ci fanno vedere chiaramente il presente e di conseguenza quello che dobbiamo costruire per le generazioni future».

A proposito di attualità, pensa che la pandemia modificherà le relazioni?

«Le sta già modificando nel senso che ci abitua a scartarci gli uni dagli altri. I nipotini mi abbracciano sapendo che non potrebbero farlo. Per strada se c’è una persona che ci viene incontro ci scansiamo. Stiamo introiettando nelle nostre vite l’idea in cui il contatto con l’altro è pericoloso. Esattamente il contrario di quello che ci hanno insegnato sinora: non bisogna avere paura dell’altro, bisogna essere caldi, affettivi. Quanto questo rimarrà come traccia non lo possiamo sapere, capiremo quello che stiamo attraversando solo nel momento in cui ci potremmo riabbracciare di nuovo. Dovremmo vivere un dopo pandemia e nel frattempo ci saremmo abituati a fare vita un po’ ritirata. Abbiamo una grande voglia di rincontrarci ma forse per un po’ ci rimarrà dentro… come un mutismo sociale».

Lei che è una regista e una scrittrice cosa pensa dell’impatto della pandemia nel sistema cultura?

«Sono abbastanza critica nei confronti della chiusura dei cinema, dei teatri e della musica perché credo, forse sbagliando, che si potesse tenerli aperti, ovviamente dove economicamente possibile. Magari è giusto quello che stanno facendo, non posso giudicare. Spero che verranno riaperti il prima possibile sia le scuole che tutti i luoghi di cultura. L’Italia deve attribuire una grande importanza alla propria cultura molto più di quanto abbia fatto finora».

Sono sempre le donne le protagoniste dei suoi lavori…

«Nei miei libri ci sono sempre anche gli uomini perché senza di loro, diciamocelo, il mondo sarebbe triste. Pietro il protagonista maschile del mio ultimo libro ha un capitolo tutto suo dove parla di sé ed è molto bello come si racconta. Il mondo è organizzato da millenni in modo che le donne si occupassero di alcune cose e gli uomini della società: la divisione dei compiti. Solo da duecento anni a questa parte è cominciato un lavoro in cui le donne, identificandosi tra loro come genere hanno trovato in questo riconoscimento collettivo di identificazione l’una con l’altra, i modi per entrare nel sociale. È un processo storico lungo e ancora in corso quello per entrare a pari titolo nella società. Lo facciamo portando con noi la nostra differenza, che è il nostro privato, una storia enorme, stupenda. Stiamo costruendo un altro mondo fatto di due pari e differenti».

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