La Nuova Sardegna

1921. Nasce il Partito Sardo d'Azione: la scelta antifascista dei “rossomori”

di Gian Giacomo Ortu
1921. Nasce il Partito Sardo d'Azione: la scelta antifascista dei “rossomori”

Da Lussu alla Lega, breve storia a 130 anni dalla nascita

26 novembre 2021
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La fondazione del Partito Sardo d’Azione, il 17 aprile 1921, è un evento che fa epoca nella Sardegna del Novecento. Il nuovo partito raccoglie le istanze di giustizia sociale e di partecipazione politica maturate tra i combattenti nella Grande guerra, innestandosi nel denso filone di riflessioni sulla questione sarda sviluppatosi tra Ottocento e Novecento.

La gran parte dei fondatori del Partito sardo, come Emilio Lussu e Camillo Bellieni, è giovane e riversa nella nuova formazione politica quel fresco vigore e caldo entusiasmo che suscitano l’attenzione ammirata di Piero Gobetti e Antonio Gramsci.

Il primo impegno del Partito sardo è la lotta contro le camarille rinsecchite, ma ancora radicate, del liberalismo ottocentesco, per consentire l’emancipazione economica e civile delle masse rurali con la partecipazione al governo dell’isola. Da qui il progetto rivoluzionario dell’autonomia sarda, destinato a diventare nel secondo dopoguerra il principio motore dell’ordinamento autonomistico della Repubblica italiana.

Quando il Partito sardo nasce, il fascismo di Mussolini è sulla soglia del potere e la lotta contro di esso è compito prioritario, per difendere i diritti sociali e politici acquisiti dai lavoratori in età giolittiana. Ma, inevitabilmente, questa lotta mette a nudo le due anime del Partito sardo, la borghese, che si lascia incantare dalle sirene del regime, e la proletaria, che non accetta di barattare il proprio progetto di autogoverno e di emancipazione popolare con qualche gratificazione economica, qual è la Legge del Miliardo del 1924. Agli esponenti dell’anima borghese, capeggiati da Paolo Pili, si può ben applicare il termine di sardo-fascisti o “neromori”, agli esponenti dell’anima proletaria, che hanno come leader Lussu, il termine di sardo-socialisti o “rossomori”. È una divaricazione di scelte e di destini, perché ai primi spetterà l’onore del governo dell’isola, ai secondi la strada dell’esilio o dell’emarginazione.

Scampato a un assalto fascista alla sua abitazione-studio di Piazza Martiri a Cagliari, Lussu, benché assolto dall’accusa di omicidio da giudici onesti e coraggiosi, è comunque spedito al confino di Lipari, dove incontra Carlo Rosselli, socialista pure lui, ma a vena liberale. Se metti assieme due uomini così, è chiaro che qualcosa di grande deve succedere: prima la clamorosa evasione da Lipari e poi la fondazione di Giustizia e Libertà, il più “illuminato” dei movimenti antifascisti all’estero. Inizia così il sodalizio politico e militante del socialismo sardista di Lussu, a base popolare, con il socialismo liberale di Rosselli, a base borghese.

Caduto il fascismo, Lussu torna in Italia senza aver perso nulla del suo radicalismo sardo socialista. Lo ripropone, anzi, potenziato degli approfondimenti fatti nel vivo della lotta antifascista, sulle teorie socialiste e marxiste, e soprattutto sul federalismo come via maestra alla costruzione di uno Stato democratico. Al rientro in Sardegna, nel luglio del 1944, esplicita la sua visione politica in una serie di mirabili discorsi tenuti nelle principali città dell’isola, sollevando prima perplessità, poi diffidenza e infine avversione nel corpo notabiliare del Partito sardo.

Ha intanto aderito al Partito d’Azione e pensa a una sua saldatura con il Partito sardo, che però la respinge nel suo VI Congresso, tenuto a Macomer nell’agosto del 1944. Successivamente, sciolto il Partito d’Azione, Lussu medita l’innesto del Partito sardo nel Partito socialista, e ancora senza successo.

Il fatto che Lussu non nutrisse fiducia nel futuro di un Partito sardo arroccato nell’isola è ancora materia di discussione. Chi scrive ritiene che egli manifestasse nell’occasione un’intransigenza eccessiva, che lo portò a lasciare il “suo” partito per fondarne un altro, il Partito sardo d’Azione socialista, una meteora predestinata a cadere dentro il Partito socialista.

Comunque sia, dal 1949 le strade di Lussu e del Partito sardo divergono nettamente. E mentre Lussu rimane un oppositore strenuo dei governi democristiani, il Partito sardo entra nel primo governo regionale (istituito con lo Statuto speciale del 1948), guidato dal democristiano Luigi Crespellani. È una scelta di campo che dura sino ai primi anni Sessanta, quando il Partito sardo comincia a recepire le sollecitazioni in senso indipendentista di Antonio Simon Mossa e di Michele Columbu.

Nel 1968 il XVI congresso del partito sancisce l’obiettivo federalista. È l’anno cruciale dei “movimenti”, che sommuovono anche le acque stagnanti della politica sarda, e da principio mettono all’angolo il Partito sardo, che vede crollare il suo consenso elettorale, ridotto al 2,5% dei voti nelle elezioni regionali del 1974. A questo punto viene però in suo soccorso il fermento assai vivace di gruppi di nuovo sardismo radicale, che lo spinge ad alleanze di sinistra e gli consentono di portare Michele Columbu (1972) e Mario Melis (1976) in Parlamento, e poi ancora Columbu nel Parlamento europeo (1984).

Nel frattempo questo spostamento a sinistra e la costante pressione del neo-sardismo nazionalista spingono il Partito sardo a inserire nel suo statuto, nel congresso di Porto Torres del 1981, l’indipendenza come obiettivo strategico. Rinsanguato dai nuovi apporti nazionalitari il Partito sardo ha una forte ripresa elettorale e può portare Mario Melis alla presidenza della Giunta regionale.

Alla conclusione, nel 1989, del governo Melis l’opzione di sinistra sembra spegnersi, ma è presto ripresa con le giunte di Federico Palomba, durante le quali è approvata la legge sulla tutela della lingua sarda (1996). Tra alti e bassi, contrasti interni e oscillazioni di linea, non è dubbio che negli anni Ottanta e Novanta del Novecento il Partito sardo conosca una nuova stagione politica.

Lussu è scomparso nel 1975, prima che ciò accadesse. Possiamo ben immaginare che non avrebbe approvato la svolta indipendentista del Partito sardo, e certo neppure la più recente alleanza ancillare con la Lega di Salvini, che l’ha peraltro messo fuori dell’Alleanza Indipendentista Europea. Non ha comunque senso valutare le scelte del Partito sardo alla luce di un ipotetico giudizio di Lussu, che verrebbe da un altro tempo e mondo. Semmai, queste scelte andrebbero valutate alla luce delle posizioni di coloro, Simon Mossa, Columbu e Melis, che hanno ridefinito i connotati politici con cui il Partito sardo è entrato nel XXI secolo.

Il presidente della regione Christian Solinas, in occasione dei 130 anni dalla nascita, ha pronunciato un apprezzabile ricordo di Lussu come “grande sardista”, riconoscendo nel suo lascito un «patrimonio culturale e politico» irrinunciabile per la Sardegna.

Ebbene, presidente, se è così perché non ripudiare l’inverecondo connubio con un partito, la Lega, il cui sovranismo sciovinista e xenofobo è mille miglia lontano dal patrimonio lussiano e dalla stessa eredità dei Simon Mossa, Columbu e Melis?

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