La Nuova Sardegna

Critico implacabile del mondo moderno

di PIERGIORGIO PULIXI
Critico implacabile del mondo moderno

Scrittura coinvolgente ma anche forte sensibilità storica

15 dicembre 2020
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Iniziò a scrivere romanzi per affrontare il buio che aveva dentro, David John Moore Cornwell, più conosciuto al pubblico con il nom de plume di John Le Carré. Nell’autobiografia “Un passato da spia”, pubblicata nel 2017, l’anziano gentiluomo nato a Poole, Dorset, nel 1931, squarciò il velo sull’alone di mistero che l’aveva ammantato per più di cinquant’anni, rivelando i dettagli della sua ex professione di spia, ma soprattutto sul proprio passato. Confessò che la scrittura fu quasi una sublimazione del complesso rapporto col padre, bugiardo e truffatore di professione, un personaggio odioso e affascinante allo stesso tempo, da cui la madre di John scappò quando il piccolo aveva solo cinque anni, lasciandolo in balia di quel padre fantasma su cui non si poteva fare affidamento.

Fu questa figura odiata e ingombrante – che John descrisse in maniera impietosa nel romanzo “La spia perfetta” (1985) – a dargli la spinta propulsiva per emanciparsi da una vita grama, portandolo a studiare all’Università di Berna, per poi laurearsi in letteratura tedesca al Lincoln College di Oxford e insegnare nei due anni successivi nel prestigioso college di Eton. Ma quel giovane insegnante, posato, galante e dalla pungente ironia, stava già vivendo una doppia vita. Le Carrè, infatti, era già stato notato a Berna dai reclutatori del MI5 – i Servizi di sicurezza britannici – che avevano deciso di arruolarlo per interrogare coloro che fuggivano dalla cortina di ferro, cercando di raggiungere la Germania Ovest. In seguito John si specializzò nello stanare gli infiltrati sovietici, attività da cui attinse a piene mani qualche anno dopo per i suoi romanzi di spionaggio. Nel 1959 abbandonò l’insegnamento e divenne un funzionario del ministero degli Esteri britannico prima a Bonn e successivamente ad Amburgo. Tutta una copertura. In Germania era già divenuto un agente in piena regola del MI6, l’agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito. Ancora in servizio, nel 1961 decise seguire le orme di predecessori illustri come Joseph Conrad, Somerset Maugham e Graham Greene pubblicando il primo romanzo: “Chiamata per il morto”. Ma fu con “La spia che venne dal freddo”, del 1964, che raggiunse la popolarità e il successo mondiale. Quel romanzo è diventato un classico della letteratura tout court ed è inserito nella lista dei 100 romanzi migliori in assoluto della rivista Time.

È incredibile pensare che in quegli anni Le Carré continuò a celare la sua nebulosa identità da spia, che probabilmente avrebbe portato avanti per diverso tempo se Kim Philby – agente doppiogiochista dell’MI6 vendutosi ai sovietici – non avesse fatto saltare la sua copertura, costringendolo a lasciare i Servizi di sicurezza. Come sempre nella sua vita Le Carrè non si perse d’animo, e utilizzò questo tradimento come base per uno dei suoi romanzi più famosi “La talpa” (1974) in cui il personaggio dell’agente segreto George Smiley assurge in tutta la sua profonda umanità e tragicità. Smiley è l’antitesi della spia patinata incarnata da James Bond. L’eroe di Le Carrè è un uomo fragile, senza alcun carisma, ridotto al rango impiegatizio: un malinconico burocrate ingrigito per via dei tradimenti della moglie e per le continue umiliazioni da parte dei colleghi del Circus, che viene coinvolto in faccende troppo più grandi di lui, come per esempio dare la caccia a Karla, la sua nemesi: il diabolico infiltrato sovietico nell’MI6. A quel celebre romanzo ne hanno fatti seguito tanti altri: “L’onorevole scolaro”, “Tutti gli uomini di Smiley”, “La casa Russia”, solo per citarne alcuni.

Celebrato come il più abile romanziere che ha saputo raccontare la Guerra fredda declinata in chiave britannica, molti critici letterari con la caduta del Muro di Berlino nell’89 lo diedero per spacciato. Il vecchio mondo delle spie era finito, e Le Carrè non aveva più nulla da raccontare. Grave sbaglio. A quasi sessant’anni John seppe reinventarsi, adattando la spy story ai nuovi tempi. Si concentrò sullo spionaggio industriale, sulle multinazionali farmaceutiche e su quelle delle armi, focalizzandosi nell’ultimo periodo sul pericolo rappresentato dagli oligarchi russi e dagli ex agenti dormienti del KGB.

Una grande autrice come Margaret Atwood ha commentato la sua scomparsa dicendo: «I suoi romanzi sono la chiave per comprendere la seconda parte del XX secolo». Niente di più vero. Sono tanti gli autori che negli anni hanno sollevato la sua candidatura al Nobel, e l’avrebbe meritato per la sua prosa letteraria cristallina, elegante e mai fine a se stessa, e per le tante storie e personaggi indimenticabili che l’hanno elevato a «gigante della letteratura», come è stato salutato da Stephen King. Il numero di film e serie televisive tratti dai suoi romanzi è impressionante. Da diverso tempo si era ritirato in un bel cottage in Cornovaglia dove scriveva circondato dai suoi cani e dall’amore di Jane, la sua seconda moglie.

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