La Nuova Sardegna

Gli Statuti di Sassari, primo testo legislativo e modello per il futuro

di Gian Giacomo Ortu
Gli Statuti di Sassari, primo testo legislativo e modello per il futuro

Lo dimostra il saggio dello storico Antonello Mattone che raccoglie gli atti di un convegno per i 700 anni

14 gennaio 2021
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On c’è enfasi nella constatazione di Antonello Mattone che gli «Statuti» di Sassari, del 1316, sono il primo testo legislativo in volgare sardo e perciò destinato a fungere da modello in Sardegna per altri statuti, come quello di Castelgenovese, del 1335 circa, e della stessa Carta de Logu d’Arborea, del 1392. I precedenti statuti o «brevi» di Cagliari e di Villa di Chiesa, infatti, erano redatti in volgare toscano.

Come i Brevi di Cagliari e di Iglesias, gli Statuti di Sassari si dovevano all’iniziativa politica e influenza giuridica di Pisa, che subito dopo la fine del Giudicato di Torres aveva messo sotto tutela la città, ma senza cancellarne del tutto – come nota lo storico Alessandro Soddu – l’eredità giudicale, civile, giuridica e istituzionale.

E non poteva essere altrimenti, del resto, perché, diversamente dalle altre città sarde (ma Oristano è un caso ancora diverso), Sassari non era città di fondazione signorile, e quindi allogena, ma formazione urbana autoctona, scaturita dall’aggregarsi largamente spontaneo in varie fasi di più insediamenti preesistenti.

Nativi in prevalenza erano anche i cittadini sassaresi, capaci di conservare i propri connotati urbani ed etnici anche nei secoli di dominazione aragonese e spagnola, per quel legame forte con la terra che ne alimenterà sempre l’attività e l’economia. Di fecondazione reciproca sarà pure, a lungo, il rapporto di Sassari con i villaggi del Logudoro, diversamente che nel caso di Cagliari e di Alghero, città prima italiane e poi catalane, il cui rapporto con il territorio circostante resterà di estraneità e di sfruttamento in tutta l’età medievale e moderna.

Questo “carattere” autoctono di Sassari è il centro di gravitazione della gran parte dei saggi raccolti nel pregevole volume, curato da Antonello Mattone e da Pinuccia Simbula per l’editore Franco Angeli, che raccoglie gli atti del convegno «I settecento anni degli Statuti di Sassari», tenutosi nel 2016.

Gli atti dei convegni difettano spesso di unità e coerenza d’oggetto e di metodo, ma in questo caso c’è l’unità d’oggetto, il Comune medievale di Sassari e i suoi statuti, e c’è un approccio metodologico coerente e al contempo dialogico, in una prospettiva pluridisciplinare. Non è purtroppo possibile renderne pienamente conto in una breve recensione e ci scusiamo con gli autori esclusi dal nostro filo di riflessioni.

La prima e seconda parte del volume propongono un illuminante percorso sulla storiografia statutaria italiana e sarda, con particolare attenzione per la convenzione che il Comune di Sassari doveva stipulare nel 1294 con il Comune di Genova, assoggettandosi a un vincolo di dipendenza economica e militare, “assicurato” da un podestà di nomina genovese, che non ne ledeva, nella sostanza, i profili di autonomia, ordinamentali e giuridici. La stessa esigenza di redigere gli Statuti in volgare, oltre che in latino, è prova – come evidenzia Roberta Braccia – del loro carattere autoctono e popolare.

Un carattere che risalta ancor meglio dalla lettura interna degli Statuti, per ambiti tematici: “diplomazia” comunale (Giuseppina De Giudici), giustizia penale (Annamarì Nieddu), amministrazione fiscale e finanziaria (Fabrizio Alias), approvvigionamento alimentare (Paolo Cau) e gestione rifiuti urbani. Lettura che mostra, una volta di più, che gli Statuti di Sassari sono stati lo specchio ordinamentale di una società urbana tonica e vitalissima.

Una terza e quarta parte del volume spostano l’attenzione dagli Statuti al percorso storico di formazione della Sassari medievale, sulle linee di continuità e discontinuità con la romana Turris Libisonis, non senza acute prospezioni, tra archeologia, cartografia e urbanistica, sull’organizzazione dello spazio urbano. La prova del nove della capacità di Sassari di preservare la propria sostanziale autonomia di governo fu l’occupazione aragonese dell’isola, nel 1323, cui la città non si piegò mai del tutto. Tra rivolte e sottomissioni, sempre violente, la sua integrazione nel Regnum Sardiniae – come mostra Pinuccia Simbula – fu quanto mai complessa e tormentata, tanto che sul principio del 1369 la città apriva le porte all’occupazione arborense, per rientrare nel dominio aragonese soltanto nel 1420, con Alfonso il Magnanimo.

Notevoli sono anche i contributi della quinta parte del volume, relativi alle prospettive di studio filologico e linguistico degli Statuti (e in particolare del suo lessico giuridico, preso in esame da Federico Bambi) e al progetto di una nuova e più rigorosa edizione degli Statuti, maturato anche sulla traccia delle riflessioni sviluppate dal non dimenticato Paolo Merci in occasione del precedente convegno del 1983.

A chiusura del volume, lo studioso Antonello Mattone propone infine una densa e lucida riflessione storiografica sulla riscoperta degli Statuti sassaresi tra età moderna e contemporanea, riprendendo e dilatando in qualche modo il filo di riflessioni sul mito (e memoria) della «Repubblica» di Sassari, tema svolto nel convegno da Salvatore Mura.

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