La Nuova Sardegna

La storia di Nino Gramsci secondo Giuseppe Fiori

di COSTANTINO COSSU
La storia di Nino Gramsci secondo Giuseppe Fiori

Ritorna la biografia del 1966. Un classico dal quale più che il leader emerge l’uomo

27 gennaio 2021
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«Questo libro non vuole avere altra ambizione che di completare il ritratto di Gramsci, cioè di aggiungere alla “testa” (al Gramsci grande intellettuale e leader politico, meglio conosciuto) “gambe” e “corpo” quegli elementi umani, dall’infanzia alla maturità, che aiutano a farci vedere il personaggio “intero”, nei giorni della fame, dell’amore e del lento morirsene. È quindi specialmente il ritratto di Nino Gramsci». Così scriveva Giuseppe Fiori nella premessa alla prima edizione (1966) della “Vita di Antonio Gramsci”, un classico che ora viene ripubblicato da Laterza con una prefazione di Alberto Asor Rosa (360 pagine, 20,00 euro).

E che sia un classico, questo testo, lo si deve proprio alla scelta che Fiori rende manifesta nella sua premessa. Quello che il lettore incontra nelle pagine di uno dei maggiori biografi che la letteratura italiana abbia conosciuto nella seconda metà del Novecento non è il capo politico del movimento operaio torinese del Biennio rosso, non è il leader che fonda il Partito comunista d’Italia sulla scia del grande rivolgimento dell’Ottobre russo, non è l’intellettuale che consegna ai “Quaderni” una riflessione lucidissima sulla sconfitta subita ad opera del fascismo e sulle condizioni di una possibile nuova fase del processo di costruzione di una società socialista. O meglio: è tutto questo ma non solamente questo. Non principalmente questo. Nelle pagine della biografia di Fiori il lettore incontra soprattutto Nino, un uomo con le sue sofferenze, con i suoi affetti, con i suoi amori, con le sue passioni, con le sue debolezze. È l’attestarsi primario su questa dimensione “privata” che fa del testo di Fiori un libro capace di resistere al tempo. Nella terribile tempesta della Storia (la Rivoluzione bolscevica, la Torino post bellica dell’occupazione delle fabbriche e dei consigli operai, la scissione del Psi e la nascita del Pcd’I, la reazione fascista, le divisioni drammatiche all’interno del gruppo dirigente della Terza Internazionale, il carcere, l’isolamento all’interno del suo stesso partito) Fiori fa emergere sempre, con la scrittura asciutta e misurata di un narratore autentico, l’uomo Gramsci: il “corpo” insieme con la “testa”.

Non esitiamo a dire che le pagine più belle del libro sono le prime ottanta e quelle finali (il capitolo trentesimo). Nelle prime c’è Nino bambino e adolescente, ad Ales e poi a Ghilarza; Nino che studia a Santu Lussurgiu e a Cagliari; Nino che va a fare l’Università a Torino con una borsa di studio e fa per mesi la fame. Ci sono la madre Giuseppina, la sorella Teresina, il fratello Gennaro. C’è la Sardegna contadina, la terra delle janas alla quale Nino resterà per tutta la vita attaccato come a un universo imprescindibile («La “sardità” – scrive Asor Rosa nella prefazione – costituisce una della matrici innegabili e insostituibili di questo libro»). E poi le poche ma intensissime pagine dedicate alla fine, alla morte, nel 1934 nella clinica Quisisana di Roma, a quarantasei anni. Potremmo però aggiungere, anche, i luoghi della narrazione in cui Fiori tratteggia l’amore (e il disamore) di Nino per la moglie, Giulia Schucht. O l’affetto sollecito per i figli. O il rapporto con la nuora, Tania, custode mai assente di Nino incarcerato.

Poi è anche vero che Fiori non si dimentica del Gramsci dirigente politico comunista e dell’intellettuale di prima grandezza. Di questo Gramsci emerge, dalla biografia ora riedita, una lettura. Mai esplicita, mai diretta, eppure trasparente. L’ordito del racconto tende a spostare Gramsci dal solco tracciato da Togliatti. Solco che segnava una netta continuità tra le scelte politiche e il pensiero dell’autore dei “Quaderni” e il “partito nuovo” disegnato dal Migliore dopo il suo ritorno in Italia da Mosca. Di Gramsci viene quindi messa in evidenza, nella biografia di Fiori, non solo la primogenitura della linea antisettaria che porterà alla sconfitta di Amadeo Bordiga e all’elezione dello stesso Gramsci alla segreteria del Pcd’I nel 1924 e poi alle Tesi di Lione del 1926, ma anche la sostanziale estraneità politica alle logiche che determinarono la torsione autoritaria dell’esperienza bolscevica dopo la morte di Lenin, con la spaccatura del Partito comunista russo tra una minoranza capeggiata da Stalin e una minoranza guidata da Zinoviev, Trotzkij e Kamenev.

A una lettura fatta oggi (dal 1966 è trascorso oltre mezzo secolo) questi aspetti risultano legati a una fase del dibattito interno alla sinistra italiana datata. Stabilire la distanza di Gramsci da Togliatti è oggi molto meno rilevante di quanto potesse essere nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso. E con la sua intelligenza Giuseppe Fiori sarebbe stato il primo a riconoscerlo. Altre sono ora le questioni aperte che la riflessione teorica gramsciana illumina, con la forza straordinaria di un pensiero attualissimo.

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