«Non riusciamo a liberarci dalle vergogne del razzismo»
di FABIO CANESSA
L’attore condanna l’incapacità di riconoscere l’altro: se non rispetteremo i nostri simili e gli equilibri del pianeta, le catastrofi si perpetueranno
28 gennaio 2021
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Sono passati settantasei anni da quando le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, simbolo dello sterminio di milioni di ebrei da parte dei nazisti. Era il 27 gennaio e quel giorno è diventato il Giorno della memoria. Ricorrenza celebrata per commemorare le vittime della Shoah che per Moni Ovadia deve avere un valore più ampio, non legato soltanto al passato ed esclusivamente a una data. Da sempre l’artista e intellettuale di origini ebraiche insiste sul concetto di contemporaneità quando si parla di ricordo dell’Olocausto. Vergogna dell’umanità, monito contro le derive dell’odio e dell’intolleranza mentre i venti del razzismo e del negazionismo non smettono di soffiare.
L’uomo e il virus
In tempo di pandemia non cambia l’impegno per il Giorno della memoria di Ovadia (ieri è stato impegnato in un incontro sul tema con Corrado Augias trasmesso in streaming dal teatro comunale di Ferrara) e proprio riguardo la situazione sanitaria che ormai da circa un anno condiziona il pianeta e ha cambiato le vite di tutti, allarga il pensiero al rapporto dell’uomo con la natura. «Ascoltavo di recente una conferenza di una studiosa indiana che faceva notare come la natura in questo pianeta abbia espulso diverse specie e potrebbe espellere anche la specie umana. Noi siamo troppo arroganti, non ci rendiamo conto di quello facciamo. Percuotiamo la natura in tutti i modi e ci aspettiamo che lei faccia quello che è comodo a noi. È necessario riconciliarci con quello che ci circonda e cominciare a capire che facciamo parte di un sistema e se squilibriamo questo sistema possono arrivare anche delle malattie. Questa può essere una delle tante pandemie che dovremo affrontare. E può essere che il prossimo virus sia peggiore».
Memoria e memorie
Il discorso sulla pandemia non è così lontano dal tema della memoria come si potrebbe immaginare nel pensiero del saltimbanco, come si definisce lui stesso, cittadino del mondo e cantore della cultura yiddish. «Il problema del razzismo e di tutte le catastrofi – sottolinea Ovadia – è che non riconosciamo l’altro. Diciamo sempre io o noi. E cosa dicevano i nazisti? Deutschland uber alles: la Germania sopra tutti, noi siamo la razza padrona e gli altri sono fetecchie. Anche la natura è altra rispetto a noi. E dobbiamo volerle bene, capirla, stabilire una relazione di fratellanza con la natura e gli animali così come fra gli uomini». Il mancato riconoscimento dell’altro come soggetto di una relazione porta al razzismo: insiste molto su questo aspetto Moni Ovadia: «Non ci siamo liberati dal razzismo e nemmeno dallo spirito che ha animato il nazismo. Che non riguardo soltanto gli ebrei. Riguarda anche i rom, i sinti, gli omosessuali, i menomati, tutti gli oppositori. Da alcuni anni ho sposato questo orizzonte: propongo di cambiare denominazione al Giorno della memoria. Vorrei che si chiamasse Giorno delle memorie per ricordare tutti i genocidi, gli stermini, almeno a partire dal Colonialismo».
Cultura dell’odio
La lista degli orrori è purtroppo lunga come ricorda Moni Ovadia: «Nel Novecento abbiamo avuto vergogne come il genocidio degli armeni da parte degli ottomani, le stragi di massa perpetrate dall’esercito imperiale giapponese in Manciuria, il genocidio interno Cambogia, i massacri nella ex Jugoslavia. E continuano ancora oggi: basta pensare ai lager libici o alle persecuzioni in Cina degli uiguri. La Shoah che ha avuto un livello assoluto di ferocia, sino alla distruzione dell’uomo, deve porsi come una sorta di sorella maggiore che abbraccia tutte le altre memorie». Orrori alimentati da una cultura dell’odio difficile da estirpare: «Dobbiamo arrivare a un’umanità che abbandoni la sopraffazione e la disuguaglianza. Viviamo in un pianeta in cui duemila uomini hanno più soldi di miliardi di altre persone. Questa è una violenza inaudita. Io non ce l’ho con Jeff Bezos o Mak Zuckerberg, sono uomini d’affari e fanno il loro mestiere, ma contro un sistema che gli permette una cosa del genere».
Festival di Sanremo
L’interesse economico guida per Ovadia anche il tentativo di salvare il festival di Sanremo con il pubblico, secondo le ultime idee con coppie di figuranti. Un trattamento speciale rispetto a tutto il mondo del teatro che ha portato molti lavoratori del settore ha esprimere il proprio malcontento. Compreso lo stesso Moni Ovadia. «Non ho niente contro il festival di Sanremo. Ci sono stato anche una volta come produttore nel 1980. Però mi sembra chiaro che si faccia tutto per i soldi. Non conta la salute, il diritto di essere trattati tutti allo stesso modo. E secondo me un Paese che dà priorità a un festival della musica leggera sulla cultura è un Paese miserabile, che si crede grande e invece è piccolo. Siamo ancora la povera, minuscola Italietta. Poi però si fanno funerali di Stato a Gigi Proietti, grandi parole e cerimonie quando uno muore. Questa è ipocrisia, retorica».
L’uomo e il virus
In tempo di pandemia non cambia l’impegno per il Giorno della memoria di Ovadia (ieri è stato impegnato in un incontro sul tema con Corrado Augias trasmesso in streaming dal teatro comunale di Ferrara) e proprio riguardo la situazione sanitaria che ormai da circa un anno condiziona il pianeta e ha cambiato le vite di tutti, allarga il pensiero al rapporto dell’uomo con la natura. «Ascoltavo di recente una conferenza di una studiosa indiana che faceva notare come la natura in questo pianeta abbia espulso diverse specie e potrebbe espellere anche la specie umana. Noi siamo troppo arroganti, non ci rendiamo conto di quello facciamo. Percuotiamo la natura in tutti i modi e ci aspettiamo che lei faccia quello che è comodo a noi. È necessario riconciliarci con quello che ci circonda e cominciare a capire che facciamo parte di un sistema e se squilibriamo questo sistema possono arrivare anche delle malattie. Questa può essere una delle tante pandemie che dovremo affrontare. E può essere che il prossimo virus sia peggiore».
Memoria e memorie
Il discorso sulla pandemia non è così lontano dal tema della memoria come si potrebbe immaginare nel pensiero del saltimbanco, come si definisce lui stesso, cittadino del mondo e cantore della cultura yiddish. «Il problema del razzismo e di tutte le catastrofi – sottolinea Ovadia – è che non riconosciamo l’altro. Diciamo sempre io o noi. E cosa dicevano i nazisti? Deutschland uber alles: la Germania sopra tutti, noi siamo la razza padrona e gli altri sono fetecchie. Anche la natura è altra rispetto a noi. E dobbiamo volerle bene, capirla, stabilire una relazione di fratellanza con la natura e gli animali così come fra gli uomini». Il mancato riconoscimento dell’altro come soggetto di una relazione porta al razzismo: insiste molto su questo aspetto Moni Ovadia: «Non ci siamo liberati dal razzismo e nemmeno dallo spirito che ha animato il nazismo. Che non riguardo soltanto gli ebrei. Riguarda anche i rom, i sinti, gli omosessuali, i menomati, tutti gli oppositori. Da alcuni anni ho sposato questo orizzonte: propongo di cambiare denominazione al Giorno della memoria. Vorrei che si chiamasse Giorno delle memorie per ricordare tutti i genocidi, gli stermini, almeno a partire dal Colonialismo».
Cultura dell’odio
La lista degli orrori è purtroppo lunga come ricorda Moni Ovadia: «Nel Novecento abbiamo avuto vergogne come il genocidio degli armeni da parte degli ottomani, le stragi di massa perpetrate dall’esercito imperiale giapponese in Manciuria, il genocidio interno Cambogia, i massacri nella ex Jugoslavia. E continuano ancora oggi: basta pensare ai lager libici o alle persecuzioni in Cina degli uiguri. La Shoah che ha avuto un livello assoluto di ferocia, sino alla distruzione dell’uomo, deve porsi come una sorta di sorella maggiore che abbraccia tutte le altre memorie». Orrori alimentati da una cultura dell’odio difficile da estirpare: «Dobbiamo arrivare a un’umanità che abbandoni la sopraffazione e la disuguaglianza. Viviamo in un pianeta in cui duemila uomini hanno più soldi di miliardi di altre persone. Questa è una violenza inaudita. Io non ce l’ho con Jeff Bezos o Mak Zuckerberg, sono uomini d’affari e fanno il loro mestiere, ma contro un sistema che gli permette una cosa del genere».
Festival di Sanremo
L’interesse economico guida per Ovadia anche il tentativo di salvare il festival di Sanremo con il pubblico, secondo le ultime idee con coppie di figuranti. Un trattamento speciale rispetto a tutto il mondo del teatro che ha portato molti lavoratori del settore ha esprimere il proprio malcontento. Compreso lo stesso Moni Ovadia. «Non ho niente contro il festival di Sanremo. Ci sono stato anche una volta come produttore nel 1980. Però mi sembra chiaro che si faccia tutto per i soldi. Non conta la salute, il diritto di essere trattati tutti allo stesso modo. E secondo me un Paese che dà priorità a un festival della musica leggera sulla cultura è un Paese miserabile, che si crede grande e invece è piccolo. Siamo ancora la povera, minuscola Italietta. Poi però si fanno funerali di Stato a Gigi Proietti, grandi parole e cerimonie quando uno muore. Questa è ipocrisia, retorica».