La Nuova Sardegna

Ciusa Romagna, negli occhi i colori dell’isola

Paolo Curreli
Ciusa Romagna, negli occhi i colori dell’isola

I maestri dell'arte sarda, da venerdì 5 febbraio in edicola con La Nuova la monografia dedicata al pittore nuorese, secondo appuntamento con la collana

04 febbraio 2021
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Giovanni Ciusa Romagna nasce nella Nuoro ricca di fermenti dell’inizio del secolo scorso: il 20 febbraio 1907 da Salvatore Ciusa, fratello dello scultore Francesco Ciusa e da Maria Veronica Romagna, commercianti.

Sono gli anni in cui Grazia Deledda pubblica “Elias Portolu” (1903), “Cenere” (1904), “Edera” (1908). Nel 1903 Antonio Ballero espone in diverse grandi città del continente, e inizia un intenso rapporto epistolare con Pellizza da Volpedo. Insomma Giovanni Ciusa Romagna è figlio della Nuoro “Atene dei sardi”, come la definiva sempre in quegli anni, con una certa ironia, Grazia Deledda. Una personalità fondamentale per le arti visive sarde a cui la Nuova Sardegna dedica la monografia curata da Maria Luisa Frongia, in edicola con col giornale da domani a 7,50 euro oltre il prezzo del giornale, seconda uscita della collana “Maestri dell’arte sarda”.

Giovanni Ciusa Romagna è un ragazzo quando la Sardegna, e l’intero Paese, vengono dilaniati dalla Grande guerra, esperienza che lo segnerà profondamente.

«Nella sua famiglia si respirava l’arte, lo zio era il grande Francesco Ciusa, autore della “Madre dell’ucciso”. Opera che nel 1905 viene premiata alla Biennale di Venezia. Il nonno paterno era uno stimato artigiano scultore e intagliatore del legno. Il suo talento manifestato precocemente viene incoraggiato dalla famiglia che nel 1922 lo aiuta a studiare all’Accademia d’Arte di Firenze – spiega Efisio Carbone membro della direzione dei Musei Civici di Cagliari –. Nel 1925, la morte del padre lo costringe a tornare a Nuoro e inizia a partecipare ad importanti rassegne d’arte nazionali e regionali; nel 1927 lo zio Francesco lo invita ad insegnare presso la Scuola di Arti Applicate di Oristano da lui fondata nel 1925».

Sono anni di profonda crisi personale, passati sotto l’ombra della depressione, che Giovanni Ciusa Romagna riesce a vincere con l’insegnamento e la vicinanza dei giovani. «Un lungo esaurimento che avrà delle ripercussioni per tutta la vita lo colpisce nel 1928 – spiega Carbone –, sono anni duri, di inattività quasi totale. Riprende lentamente il lavoro negli anni 1931-32. Una prima permanenza a Venezia, e l’istituzione nel ’32 di una scuola artigiana a Nuoro e l’insegnamento del disegno nelle scuole statali saranno per lui di grande aiuto. Importante anche il soggiorno a Venezia dove Giovanni Ciusa Romagna mette a frutto l’importante lezione del colore della grande pittura classica veneziana».

Oltre l’interesse profondo per l’arte classica e la curiosità mai sopita per l’attività degli artisti contemporanei, l’amore profondo e il legame con la Sardegna in Giovanni Ciusa Romagna non si spengono mai.

«È una scelta ponderata, non dettata da una passione senza nome o dal disinteresse per il mondo – sottolinea Efisio Carbone – . Per il pittore voler rimanere a Nuoro è una scelta meditata, che ha valore morale e “ideologico”. Giovanni o Ciusa Romagna sostiene che l’intellettuale, e l’artista in particolare, deve operare nella regione che meglio conosce e che più ha bisogno del suo apporto; la validità di un’attività e di un’opera, sostiene, sono in rapporto al peso utile che determinano in un dato ambiente, per questo fu organizzatore e sollecitatore di cultura con le numerose rassegne d’arte da lui allestite. Trascorre le sue vacanze o nella Penisola per visitare le grandi mostre d’arte, oppure in alcuni paesi del nuorese a dipingere. Sa che per portare un dato ambiente su un piano poetico è necessario conoscerlo e viverlo profondamente; infatti ad Oliena, Orgosolo, Fonni, Benetutti, che sono i suoi paesi preferiti, vive con gli abitanti, diventa uno di loro».

Questo interesse per il mondo, la Sardegna come missione intellettuale e non come prigione o rifugio, Ciusa Romagna lo esprime nel 1940-41 dedicando lunghe permanenze a Roma e Venezia. Alla fine della seconda guerra mondiale l’artista sente più che mai la necessità di partecipare al riscatto dell’isola. «Sì sono anni di meditazione ma anche di grande attivismo. Nel 1944 si sposa Ester Mulas, da cui ha quattro figli – racconta Carbone –. Con gli anni ’50 e ’60 arriva la ripresa economica, con il benessere si diffonde una idea nuova di consapevolezza identitaria. Ciusa Romagna vive questo periodo di ricerca di un linguaggio autoctono collaborando con l’Isola di Eugenio Tavolara. In occasione della Mostra Regionale d’Arte del 1953 l’onorevole Segni, consigliato da Tavolara, acquistò diverse opere per gli uffici di Roma e della Sardegna. In questo contesto spicca la figura di Ciusa Romangna, peraltro così ben delineata dalla monografia curata da Maria Luisa Frongia, che rivestì il ruolo di “attivatore” delle energie artistiche della Sardegna del Dopoguerra con una volontà tale da garantire ricchezza e qualità alle numerose iniziative tra cui le fondamentali mostre regionali».

Con impegno e critica anche nei confronti della neonata Regione Autonoma per il “mecenatismo sempre possibile dei vertici regionali, concretato in atti di clientelismo o di magnanima filantropia, mai in un, se pur elementare, progetto culturale”, scriveva l’artista nel 1953. «Non solo, Giovanni Ciusa Romagna si lamentò per lo stato dell’arte in Sardegna, definendo la mentalità di molti degli artisti “feudale, vestita con forme tutt’al più ottocentesche – conclude Efisio Carbone –. Oggi l’opera di Giovanni Ciusa Romagna è presente nella collezione dei Musei Civici di Cagliari e nella recente donazione degli eredi curata dall’allora direttrice Anna Maria Montaldo. È nella mission dei Musei Civici una costante valorizzazione delle collezioni permanenti attraverso esposizioni che, nonostante i tempi difficili, si riesce a portare avanti».



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