La Nuova Sardegna

Chiambretti: «Benito Urgu e il presidente Cossiga, ecco i miei due super sardi»

Mario Frongia
Piero Chiambretti
Piero Chiambretti

Il Picconatore beccato al Pincio e intervistato senza rete per “Il portalettere”. Un decennio di lavoro con il comico di Cabras e le vacanze da ragazzo nell’isola per l'attuale presentatore del rivoluzionato programma "Tiki taka"

09 febbraio 2021
4 MINUTI DI LETTURA





«La pandemia? Dicevano che ci avrebbe reso migliori. È accaduto il contrario: siamo repressi, violenti e grassi». Piero Chiambretti, ironia lucida e tagliente. L’artista piemontese, isola che c’è in uno scenario conformista e ripetitivo, naviga in tv con le vele al vento: «Con “Tika Taka”, tre ore di spettacolo e mezzo milione di spettatori fino alle due del mattino, sfidiamo un mondo, quello del pallone, in cui non si deve dare fastidio».

Comico, autore e attore tv, cronista. «Me la suono e me la canto: scelgo gli ospiti, scrivo scene e testi, faccio il casting, collaboro con la regia. Ci metto tutto me stesso». Pausa. Con ripartenza: «Da qualche tempo scrivo. Mondadori mi ha chiesto un’autobiografia ironica che sarà anche autodistruttiva. Rimetto in fila decenni di lavoro e mi reputo fortunato: ho vissuto felice, creativo e libero di fare quel che mi piaceva. Il titolo del libro? “Come non diventare Chiambretti”. Ho accettato perché non mi hanno imposto una data di consegna». Il colloquio ha per colonna sonora “Bye bye” del cantante francese Oscar Anton: «Ha già diversi remix, avrà successo».

Classe 1956, natali ad Aosta, la passione per il jazz di Benny Goodman e Miles Davis, Piero coglie l’attimo. «A Rai 3 pensavo a un programma sui giornali locali, ospitano cose interessanti, ci aiutano a sopravvivere». Innamorato della Sardegna, capace di indignarsi su triti luoghi comuni: «Ho tre motivi per dimostrare la mia sardità: ero buon amico di Francesco Cossiga. Sono stato l’unico al mondo ad averlo intervistato senza protocolli da presidente, per “Il portalettere”. Lo beccai al Pincio. Grande persona».

E le altre due ragioni?

«Sono piccolo e di carnagione scura. E ho lavorato dieci anni con Benito Urgu, vostro alfiere. Poi, da ragazzino sono stato in campeggio a Santa Teresa, ho fatto vacanze a Stintino, Villasimius, Porto Cervo. Siete un pezzo della mia vita. Adesso, vivendo chiusi in casa, penso di scappare sul Gennargentu, di visitare il Sulcis o di prendere una barchetta e trasferirmi a Carloforte».

Uomini. E delle donne sarde che idea si è fatto?

«Anni fa ne ho frequentato una in Messico. Soavi affabili, al primo valzer diffidenti, e fanno bene, molto interessanti. Penso a Caterina Murino: bellissima e brava».

Torniamo in tv. Quali i gioielli che non scorda?

«Penso a “Prove tecniche di trasmissione” in Rai che aveva in contemporanea “Domenica In”. E poi “Il portalettere”, primo programma on the road sui politici che non potevano scappare. Ma anche “Il laureato”, viaggio nelle università italiane con lectio brevis di alunni come Federico Zeri, Carmelo Bene, Sandro Ciotti, Ligabue, Sandro Paternostro. E non scordo “Comunque vada, sarà il successo!”, il “Chiambretti night” e “Complimenti per la trasmissione”: anticipava il senso voyeuristico oggi imperante al “Grande fratello”».

Adesso siete a quota diciotto puntate con “Tika Taka”.

«Prende la forma che avevo in testa. Il concetto arriva anche al pubblico, abituato al calcio parlato di cui non se ne può più».

Come nasce la collaborazione con Enzo Fortunato?

«Enzo, amico brillante con un cuore speciale: è la mia coperta di Linus. Ci siamo ritrovati al Forte Village, l’ho portato a Milano. È memoria del Cagliari, undici anni da team manager con Cellino non sono uno scherzo. In televisione, complici i ritmi del programma, può dare ancora tanto».

Decine di ospiti. Chi le ha detto no?

«Nessuno. Il calcio ha regole tra scaramanzia e ordini dal club. Verrà il patron della Fiorentina Comisso e anche Lotito e Inzaghi della Lazio. Mihajlovic e Nainggolan hanno detto a Ivan Zazzaroni, che lavora con noi, che quando le loro squadre vanno meglio, ci saranno».

Qual è il trucco per scavare oltre il possibile?

«Hanno il terrore di dire cose che gli si ritorcano contro. Quelli fuori dal gioco, come Ciccio Graziani e Pasquale Bruno, funzionano. Avremo Beccalossi, commenterà l’Inter di Conte. Facciamo cose che vanno oltre la messa cantata e il non disturbare il manovratore».

A proposito di pallone, cosa succede al suo Torino?

«Da un anno e mezzo, partito Mazzarri, soffriamo. Spero che, assieme al Cagliari, si salvi».

Chi vince lo scudetto quest’anno?

«Il Covid. Non è il torneo del pallone ma del tampone. Il titolo va verso Inter o Milan. Ma occhio alla Juve».

Passiamo alla Rai. Cosa pensa di Sanremo 2021?

«Senza pubblico, la sala piena di idee, un grande cast che canta. Un po’ lo specchio rotto della realtà. Con l’Italia in ginocchio, lo è anche il festival. Ora devono rialzarsi».

Riappare il Covid. Cosa rivive della sua esperienza?

«Mi hanno salvato le carezze degli angeli in corsia. Di Covid muoiono ancora centinaia di persone al giorno e quasi non lo scriviamo più. Penso al personale sanitario, in trincea da marzo. E ringrazio il team dell’ospedale Mauriziano che ha curato me, mia madre e centinaia di malati. Eroi che nessuno deve dimenticare».

I sentimenti in lockdown. Tristezza, solitudine, cos’altro?

«Il mio amore va tutto a mia figlia Margherita».

C’è in giro nel mondo dello spettacolo un altro Piero Chiambretti?

«Non vedo nessuno. Ma non auguro a nessuno di diventare come me».

Lei come si definisce?

«Con uno slogan dei futuristi: veloce anche da fermo».

 

In Primo Piano
La lotta al tabacco

Un sardo su tre fuma e i divieti sono ancora blandi

di Claudio Zoccheddu
Le nostre iniziative