La Nuova Sardegna

Nell’universo delle donne che si sono “fatte strada”

Gabriella Grimaldi
Edina Altara
Edina Altara

Solo il 3% di vie e piazze è intitolato al femminile. Nel libro “Via libera” 50 storie narrate dalle targhe 

21 febbraio 2021
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A giudicare dai nomi delle vie che percorrono le nostre città, le donne degne di essere ricordate sono state sante, madonne, regine o principesse. E le scienziate, le inventrici, le sportive, le poetesse? Ecco i progetti che vogliono riempire un vuoto ormai inaccettabile

Un libro appena pubblicato da Sonzogno focalizza l’attenzione sul problema individuando le donne citate sulle targhe delle vie - pochissime se si considera che le intitolazioni al femminile sono in media il 3-5% del totale mentre per gli uomini si sale al 40% - che hanno dato un vero e significativo contributo alla società. Si intitola “Via libera. 50 donne che si sono fatte strada” ed è realizzato da Valentina Ricci, Viola Afrifa e Romana Rimondi (illustratrice) le quali, fra le donne a cui sono state “dedicate” vie, piazze, ponti, giardini in Italia, ne hanno individuato cinquanta che hanno effettivamente lasciato una traccia importante: «Ognuna di queste strade – affermano le autrici – racconta di donne incredibilmente moderne, meravigliose, straordinarie nella loro normalità. Donne la cui vita è fatta di strade difficili e pericolose, percorse tutte con la stessa consapevolezza, quella di voler vivere in libertà».

Tra queste Alda Merini, che dai reparti psichiatrici dove era internata fece sentire la propria voce attraverso la poesia, Artemisia Gentileschi, che sfidò le convenzioni dell’arte e della morale, Franca Florio, protagonista incontrastata della Belle Èpoque, Tina Modotti che rivoluzionò la fotografia e Gae Aulenti l’architettura. E tante altre di cui si sa poco, come Trotula De Ruggiero, medichessa dell’anno Mille, Ipazia D’Alessandria, matematica e filosofa dell’anno 400, Giuditta Levato, eroina contadina calabrese.

In questo prezioso e originale volume c’è spazio anche per alcune donne sarde che hanno raggiunto primati nella loro professione o hanno rappresentato un importante cambiamento sociale: prima di tutte la giudichessa Eleonora d’Arborea, localizzata nel libro a Cagliari ma in realtà presente nella maggior parte dei centri dell’isola. Ma ci sono anche l’artista ogliastrina Maria Lai, a cui è stata dedicata, fra le altre, una piazzetta a Cagliari, la pittrice sassarese Edina Altara il cui nome è inciso in una targa nel quartiere di Sant’Orsola mentre si trova sempre a Cagliari una via intitolata a una sportiva, Giuliana Treleani, che vinse i campionati del mondo di apnea a Cuba nel 1967 e morì di incidente a 26 anni. A ciascuna donna nel libro sono dedicate quattro pagine dove, tra scritti e immagini le protagoniste si raccontano in prima persona: «Il diritto regio sardo mi ha permesso, alla morte di mio padre e di mio fratello, di proclamarmi giudicessa d’Arborea, ovvero sovrana di uno dei quattro regni nei quali a quel tempo era suddivisa la mia bella isola. Mi sono data come proposito quello di riunirla sotto un unico giudicato perché fosse in pace. Non sono riuscita, ahimé, in quell’impresa ma ne ho portato a compimento una ancora più alta. Sono stata io a promulgare la Carta de Logu, che ha regolato la vita giuridica e sociale della Sardegna per quattro secoli».

Altrettanto interessante la testimonianza immaginaria dell’illustratrice Edina Altara, figura di artista all’avanguardia nei primi decenni del Novecento e riscoperta negli anni più recenti. A lei il museo Man di Nuoro sta per dedicare una grande mostra: «Se proprio mi volete inquadrare in una professione, ne servono almeno cinque: pittrice, illustratrice, ceramista, creatrice di moda, imprenditrice. Da bambina camminavo per Sassari a raccogliere in giro qualsiasi cosa attirasse la mia attenzione, pietre, nastrini, carte colorate, pezzi di vetro. Costruivo bambole, disegnavo e dipingevo. A 18 anni ho venduto uno dei miei collage al re Vittorio Emanuele II (...) Ho studiato, mi sono aggiornata, ho viaggiato, ho sperimentato. Ho lavorato senza pregiudizi di sorta. Ho impreziosito oggetti di uso comune. Ho trasformato materiali di riciclo in forme d’arte. Ho decorato gli arredi dei transatlantici. Ho avuto coraggio e sono stata ripagata con la soddisfazione di fare delle mie passioni una professione».

Purtroppo in Sardegna i numeri sulle intitolazioni di vie e piazze alle donne finora non hanno fatto la differenza. «Si comincia a vedere qualcosa di interessante – commenta la referente sarda dell’associazione Toponomastica femminile Agnese Onnis –, ma si tratta più che altro di scelte politiche effettuate dalle varie giunte comunali che si avvicendano nei piccoli e grandi centri, a differenza del passato quando le decisioni calavano dall’alto per via istituzionale (ed ecco l’intitolazione a regine, principesse e nobildonne oppure a sante e martiri). Resistono e prevalgono tuttavia stereotipi femminili duri da estirpare perché spesso le donne hanno lavorato e manifestato il proprio talento nell’oscurità o all’ombra di compagni e colleghi. Perché una battaglia per i nomi delle vie? Perché le targhe sono molto di più di una dedica, sono fonti storiche capaci, se fossero realizzate in modo più efficace, cioè con maggiori particolari, non solo di inquadrare quel personaggio ma di fare da esempio per le ragazze, per i giovani in generale».

Sono su questa lunghezza d’onda due iniziative di Toponomastica femminile: la prima è di far conoscere nelle scuole le 21 Madri Costituenti, le donne che parteciparono alla realizzazione della nostra Costituzione, fra le quali anche una politica d’eccezione, sarda di adozione, Nadia Gallico Spano. La richiesta dell’associazione è poi ovviamente che strade e piazze in tutta Italia vengano intitolate a queste pensatrici che hanno contribuito con le loro idee e il loro rigore a radicare la democrazia nel Paese. L’altra campagna si svolge ogni anno in coincidenza con l’8 marzo e si chiama “3 donne - 3 strade” attraverso la quale si chiede l’impegno dei Comuni a dedicare a tre figure femminili rilevanti altrettante vie o piazze del centro abitato. Finora in Sardegna diversi Comuni, fra cui Olmedo (che ha proprio messo nero su bianco la delibera), hanno aderito al progetto contribuendo ad aumentare in qualche misura la percentuale di donne presenti nella toponomastica.

Ma per fortuna le buone notizie non si fermano qui. Un bel salto di qualità in questo campo sta per essere fatto dalla nostra regione grazie a un ambizioso e visionario progetto di Daniela Ducato. L’imprenditrice di Guspini, premiata in tutto il mondo come innovatrice nel campo dell’edilizia “green” e insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica, ha proposto al Comune della sua città di intitolare le 50 vie della zona industriale dove ha sede la sua azienda ad altrettante donne imprenditrici, scienziate, innovatrici di tutto il mondo che spesso non hanno visto riconosciuto il proprio talento e di cui comunque si sa molto poco. «È la prima zona industriale del mondo i cui nomi delle vie sono tutti al femminile. È una delle poche zone industriali dove le strade hanno un nome e non un numero. Questo fatto solo apparentemente marginale costituisce invece un diritto delle aziende ad avere un’identità, un luogo riconoscibile, con un nome e una storia, che assieme alle merci partirà dalla Sardegna e arriverà in ogni angolo del pianeta. Se poi questo nome è di una donna ancora meglio». L’inaugurazione da parte dell’amministrazione comunale - che ha avvallato e fatto suo il progetto - è prevista per l’8 marzo. Sulle targhe compaiono i nomi donne eccezionali come Rosalia Montmasson, unica donna nella spedizione dei Mille di Garibaldi, Grace Hopper, contrammiraglio della marina statunitense e informatica che inventò il linguaggio cobol, ancora oggi usato per i computer e le donne cinesi della provincia di Hunan che crearono un alfabeto segreto, Nu Shu, per scrivere e comunicare all’insaputa della società ultramaschilista. Fra le sarde Ducato cita l’artista Maria Lai, regina di favole fatte di fili, trame e tessuti utili - diceva lei - a rattoppare le solitudini collettive, Paskedda Zau, che nel 1868 guidò a Nuoro la rivolta popolare de Su connottu e Francesca Sanna Sulis, formidabile imprenditrice che nel Settecento, contro tutti gli ostacoli e i pregiudizi, creò un impero coltivando i gelsi a Quartucciu ed esportando in tutto il mondo la sua preziosissima seta. La zarina Caterina indossa un abito creato da donna Francesca in un ritratto esposto all’Hermitage di San Pietroburgo.

Tante storie esemplari che si spera, sempre di più, vengano conosciute da tutti. Anche attraverso la targa di una via.



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