La Nuova Sardegna

1931. Silvio Mastio, il “Che” sardo morto in Venezuela

Silvio Mastio
Silvio Mastio

30 novembre 2021
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Morire a 30 anni in Venezuela gridando «Viva la rivoluzione!». Breve ma avventurosa ed eroica la vita di Silvio Mastio. Nato a Cagliari nel 1901, fervente mazziniano, cerca di truccare i documenti per arruolarsi volontario nel 1918, ma non ci riesce. Dopo la guerra diventa amico, anzi allievo, di Emilio Lussu. Quando arriva il fascismo ha diversi scontri con squadristi cagliaritani, che provoca uscendo a passeggio con la camicia rossa dei garibaldini. Nel 1926, dopo l'arresto di Lussu, viene arrestato anche lui, e resta in carcere per un mese. Nel 1927 riesce ad imbarcarsi per Cuba. All’amico Cesare Pintus dice: «Tornerò in Italia per combattere insieme l'ultima battaglia contro il fascismo». Da Cuba e Cartagena, dove lavora in una società petrolifera, si trasferisce nel 1930 in Messico. Qui conosce un giovane antifascista fiorentino, Leopoldo Caroti e insieme frequentano gli ambienti degli esuli venezuelani. Due di questi, il dottor Carlos Leon, già ministro in un governo democratico, e il generale Rafael Simon Urbina progettano una spedizione libertadora in Venezuela.

Mastio e Caroti s'imbarcano con loro, il 27 settembre 1931, su una piccola nave insieme a 140 uomini e qualche cassa di munizioni. Il giorno dopo si impossessano della nave e dopo un lungo viaggio, l'11 ottobre, finalmente sbarcano in Venezuela, a Bella Vista. Si formano due colonne, che marciano divise verso l'interno. Ma dopo pochi chilometri la prima, comandata da Urbina, cade in un'imboscata ed è completamente distrutta. Muoiono tutti, anche Silvio Mastio. «Il suo valore – scriverà ai familiari lo stesso Carlos Leon – lo portò a morte perché, benché ferito, non volle abbandonare il campo di battaglia». Un manifesto del partito venezuelano rivoluzionario chiamerà lui e i suoi compagni «degni figli di Bolivar, di Hidalgo e di Garibaldi». Lussu lo paragonerà al Che Guevara.
 

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