Addio alla dolce regina della danza
di Bianca Maria Manfredi
Si è spenta a 84 anni l’étoile leggendaria del balletto e una figura centrale della cultura italiana
28 maggio 2021
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MILANO . «Rita Levi Montalcini diceva: “mai andare in pensione” e aveva cento anni» scherzava Carla Fracci, ma non troppo, quando le si chiedeva se avrebbe smesso di ballare. E guardava l’interlocutore un po’ come se le avesse chiesto quando intendeva smettere di respirare, citando Martha Graham che a novant’anni andava ancora in scena «e aveva un significato».
D’altronde la danza è stata una parte essenziale, anche se non la sola, della sua vita da quando a dieci anni (era nata il 20 agosto 1936) – figlia di un tranviere – è entrata nella scuola di ballo della Scala. Era il 1946 lei era intimorita ma pian piano quella è diventata la sua «casa». Casa che ha frequentato fino all’ultimo tenendo, a fine gennaio, due masterclass su Giselle. Ballerini tutti presenti davanti a quella che per loro è una icona assoluta. Alla scuola di ballo si è diplomata nel 1954, l’anno dopo ha partecipato al “Passo d’addio delle allieve licenziande della Scuola di ballo” al termine di una rappresentazione de La sonnambula diretta da Bernstein con la regia di Visconti e Maria Callas protagonista. E nello stesso anno ha sostituito Violette Verdy nella Cenerentola di Prokof’ev. Così è iniziata una ascesa straordinaria, che nel 1958 l’ha portata ad essere prima ballerina. Giselle il balletto che l’ha resa insuperabile, ma tanti i titoli da Romeo e Giulietta (dove John Cranko l’ha voluta già nel 1958), alla Sonnambula, da Excelsior a Medea, duecento personaggi, tutti non solo danzati ma recitati. «La Duse della danza» l’hanno definita sul New York Times, perché il suo talento ha presto varcato i confini: Sud America, Stati Uniti, Giappone, i grandi teatri europei l’hanno tutti accolta ed applaudita, al fianco di ballerini leggendari, da Rudolf Nureyev a Roberto Bolle, a Erik Bruhn con cui inizia il sodalizio nel 1974 quando comincia a collaborare con l’American Ballet.
L’elenco è lunghissimo. Lei stessa stava cercando qualcuno che sistemasse il suo archivio, lo scrigno di una vita. Nel 1964 ha sposato Beppe Menegatti, da cui ha avuto il figlio Francesco. Da allora il regista è restato sempre al suo fianco anche se lei, nella sua infinita dolcezza, è sempre stata tenacissima.
Una tenacia che si dimostrava nella vita di tutti i giorni: gli esercizi, l’attenzione nel cibo. Ma anche nell’impegno per l’arte che l’ha portata a danzare all’Opéra e al Met, ma anche in tv, nelle piazze e persino nelle carceri. In tv ha anche interpretato la seconda moglie di Verdi in uno sceneggiato di grande successo del 1982. Avrebbe voluto una compagnia nazionale di ballo che non ha ottenuto. Ma ha diretto il corpo di ballo del San Carlo di Napoli, dell’Arena di Verona dal ’96 al 97, dell’Opera di Roma dove resta dal 2000 al 2010 anche mentre diventa assessore alla Cultura della Provincia di Firenze, fra il 2009. È stata ambasciatrice della Fao e nel 2015 di Expo, perché al di là di qualche frizione, la sua città le è sempre rimasta nel cuore. E l’invito del direttore del corpo di ballo della Scala Manuel Legris a tenere due masterclass su Giselle lo scorso gennaio al corpo di ballo l’ha riempita di gioia.
D’altronde la danza è stata una parte essenziale, anche se non la sola, della sua vita da quando a dieci anni (era nata il 20 agosto 1936) – figlia di un tranviere – è entrata nella scuola di ballo della Scala. Era il 1946 lei era intimorita ma pian piano quella è diventata la sua «casa». Casa che ha frequentato fino all’ultimo tenendo, a fine gennaio, due masterclass su Giselle. Ballerini tutti presenti davanti a quella che per loro è una icona assoluta. Alla scuola di ballo si è diplomata nel 1954, l’anno dopo ha partecipato al “Passo d’addio delle allieve licenziande della Scuola di ballo” al termine di una rappresentazione de La sonnambula diretta da Bernstein con la regia di Visconti e Maria Callas protagonista. E nello stesso anno ha sostituito Violette Verdy nella Cenerentola di Prokof’ev. Così è iniziata una ascesa straordinaria, che nel 1958 l’ha portata ad essere prima ballerina. Giselle il balletto che l’ha resa insuperabile, ma tanti i titoli da Romeo e Giulietta (dove John Cranko l’ha voluta già nel 1958), alla Sonnambula, da Excelsior a Medea, duecento personaggi, tutti non solo danzati ma recitati. «La Duse della danza» l’hanno definita sul New York Times, perché il suo talento ha presto varcato i confini: Sud America, Stati Uniti, Giappone, i grandi teatri europei l’hanno tutti accolta ed applaudita, al fianco di ballerini leggendari, da Rudolf Nureyev a Roberto Bolle, a Erik Bruhn con cui inizia il sodalizio nel 1974 quando comincia a collaborare con l’American Ballet.
L’elenco è lunghissimo. Lei stessa stava cercando qualcuno che sistemasse il suo archivio, lo scrigno di una vita. Nel 1964 ha sposato Beppe Menegatti, da cui ha avuto il figlio Francesco. Da allora il regista è restato sempre al suo fianco anche se lei, nella sua infinita dolcezza, è sempre stata tenacissima.
Una tenacia che si dimostrava nella vita di tutti i giorni: gli esercizi, l’attenzione nel cibo. Ma anche nell’impegno per l’arte che l’ha portata a danzare all’Opéra e al Met, ma anche in tv, nelle piazze e persino nelle carceri. In tv ha anche interpretato la seconda moglie di Verdi in uno sceneggiato di grande successo del 1982. Avrebbe voluto una compagnia nazionale di ballo che non ha ottenuto. Ma ha diretto il corpo di ballo del San Carlo di Napoli, dell’Arena di Verona dal ’96 al 97, dell’Opera di Roma dove resta dal 2000 al 2010 anche mentre diventa assessore alla Cultura della Provincia di Firenze, fra il 2009. È stata ambasciatrice della Fao e nel 2015 di Expo, perché al di là di qualche frizione, la sua città le è sempre rimasta nel cuore. E l’invito del direttore del corpo di ballo della Scala Manuel Legris a tenere due masterclass su Giselle lo scorso gennaio al corpo di ballo l’ha riempita di gioia.