La Nuova Sardegna

Rosa Zicchina, la vecchia Sassari in feuilleton

di Marisa Porcu Gaias
Rosa Zicchina, la vecchia Sassari in feuilleton

Il romanzo di Cosimo Filigheddu, intreccio avvincente di storia e realismo fantastico

07 giugno 2021
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In questo suo primo e compiuto romanzo Cosimo Filigheddu, per bocca della sua protagonista, Rosa Zicchina, bastarda e bellissima adolescente ex prostituta, che all’esordio del suo racconto non ha riserve nel definirsi “vecchia e dotta”, oltre a narrarne le avventure, ricostruisce a ritroso, a partire dal 1902, quasi mezzo secolo di storia e atmosfere della sua città, Sassari, scrivendone alla maniera dell’epoca.

Il testo si configura, infatti, come una sorta di feuilleton, anche nella scansione in periodi separati da asterischi, oppure, se si preferisce, come uno dei romanzi di appendice pubblicati a puntate nell’ultima pagina dei quotidiani dell’Ottocento-primo Novecento. In essi, i protagonisti principali, generalmente una fanciulla di umili origini e un giovane nobile e danaroso, vanno incontro ad avventure, disavventure e ostacoli di ogni genere ma, alla fine, si ritrovano per vivere insieme “felici e contenti”.

COME UN BAEDEKER. Nel romanzo di Filigheddu, nel racconto dei viaggi della protagonista e nell’accurata descrizione dei luoghi che ha attraversato, sembra anche di poter cogliere un’eco dei baedeker, le guide che accompagnavano i viaggiatori dagli anni Trenta dell’Ottocento in avanti. (...) Ciò che si evidenzia nel testo oltre alla ricostruzione minuziosa, filologica si direbbe, delle vicende, degli ambienti e dei personaggi che li animano, basata sull’attento studio delle fonti archivistiche e bibliografiche, è la sapiente adozione dei linguaggi adoperati in quel tempo: l’italiano parlato e scritto del primo Novecento e il dialetto, soprattutto il sassarese, rimasto immutato e ancora oggi di uso corrente. I principali personaggi che popolano il mondo descritto, fatta eccezione per la protagonista e il suo compagno, sono realmente esistiti e ciò consente al lettore di entrare pienamente nell’atmosfera dell’epoca e, anche, di apprezzare il registro linguistico scelto. È simile a quello dei “fogli” locali o delle diatribe del ceto borghese colto nel monologo di Rosa; è sagace ed espressivo nel dialetto, adoperato con disinvoltura dalla protagonista, mai dimentica delle proprie origini quando dialoga con persone della sua stessa provenienza.

TRAVIATA REDENTA. Rosa potrebbe apparire come una sorta di “traviata redenta”, al pari della Violetta verdiana, ma è divenuta tale non grazie al favore di uomini potenti bensì in virtù della propria intelligenza, del coraggio e della determinazione che le hanno permesso inizialmente di affiancare al suo “mestiere” lo studio, fatto “con rabbia e calma”, e di affrancarsene poi, grazie alla ricchezza lasciatale dalla madre adottiva e al dono di una lunga vita, che sarà in grado di raccontare con spirito colto e vivace.

L’opera, verdiana e non, così come il teatro, sono del resto nelle corde di Cosimo Filigheddu, cui si debbono diverse pièces teatrali a sfondo storico (...). L’atmosfera del teatro vernacolare affiora in alcuni tratti del romanzo, nel serrato dialogo tra i personaggi del popolo e tra loro e la protagonista, ma è presente anche quella del teatro d’opera, nella città in cui, dopo una lunga assenza, lei fa ritorno e nella quale si va ultimando la costruzione del Politeama intitolato a Verdi e dedicato soprattutto alle rappresentazioni operistiche.

TRA SASSARI E GENOVA. Nel monologare della protagonista si delineano l’avventuroso percorso della sua vita, gli incontri con figure importanti della società italiana e cosmopolita e di quella sarda e con altre, talvolta ripugnanti ma non meno importanti nell’economia del racconto, e le immagini delle città in cui ha vissuto, Genova e, soprattutto, Sassari, mai dimenticata e nella quale deciderà di ritornare in età adulta, alla ricerca dell’amore perduto. La vediamo, all’inizio del suo percorso, quando affronta, appena tredicenne, l’oltraggio dell’essere venduta ad uomini viziosi dalla madre adottiva, in qualche modo da lei sublimato attraverso lo studio, sotto la guida di un’intrepida maestra e del suo parroco. La ritroviamo, indurita dalla sofferenza ma sopravvissuta alla terribile epidemia di colera del 1855, quando scopre di avere ereditato dalla sua mammaditta, uccisa dal morbo, una vera fortuna, guadagnata esercitando il turpe mestiere di amministratrice di postriboli.

Temporaneamente costretta al lavoro coatto nell’ospedale di Santa Croce, destinato ai colerosi, qui Rosa incontra il marchesino Carlo, malato e abbandonato dai genitori. In un precedente, fugace scambio di sguardi, nell’occasione della visita sassarese di Garibaldi, Carlo si è innamorato di lei che, pur ricambiandolo, non si abbandona a quel sentimento, consapevole che la sua origine non glielo consente.

SENSO DI GIUSTIZIA. Rosa si rivela eroina determinata e vendicativa, che unisce alla conquistata sapienza uno spietato e crudele sentimento di giustizia verso un mondo ostile e spesso popolato da figure truci e non ha riserbo nell’affermare che nella vita «denaro e spregiudicatezza erano tutto ciò che contava».

La vediamo affrontare, con inaudito cinismo, situazioni in cui è la violenza a prevalere, con una mancanza di scrupoli che la conduce fino al delitto, lasciandola immune da sensi di colpa. Tuttavia, anche nelle circostanze più drammatiche, non trascura di osservare uomini e cose, tutto valutando e assimilando nella sua mente prodigiosa.

CURIOSITÀ SPAVALDA. Trasferitasi a Genova, su consiglio del fido notaio e amministratore dei suoi beni, Rosa si afferma in società grazie alla sua curiosità spavalda e all’intraprendenza, pur conservando gelosamente un’estrema riservatezza sulla propria vita privata.

STUDI E AFFARI. La sua immagine sembra assimilabile, per certi versi, a quella delle rare e intrepide donne del primo Novecento, spesso anglosassoni e di estrazione nobile o alto borghese, che, sfidando i condizionamenti dell’epoca, si cimentarono negli studi e negli affari, ponendosi a confronto con uomini, anche i più eminenti, affermando così la propria autonomia e diventando cosmopolite diplomatiche o “capitane” del commercio e della finanza. Tuttavia, credo provocatoriamente, Cosimo Filigheddu, conferisce questo ruolo ad una bastarda, “esposta” ed ex prostituta perfino, la quale, divenuta ricca e potente, spesso difende gli interessi dei capitalisti conservatori, pur mostrandosi misericordiosa coi derelitti.

Per altri versi, Rosa sembra somigliare alla seicentesca eroina protagonista della serie di romanzi di avventure di Anne e Serge Golon, quell’Angelica, detta “marchesa degli angeli” in una trasposizione cinematografica, fatta oggetto delle lubriche attenzione degli uomini in cui si imbatte nelle sue innumerevoli imprese, intraprendente e abile quanto fedele al ricordo del primo e unico uomo che abbia amato.

SPIRITO SARCASTICO. Si potrebbe anche pensare che, nell’ininterrotto monologo della protagonista si nasconda l’autore, soprattutto quando descrive la Sassari in trasformazione fra Ottocento e Novecento, ricostruita con fedeltà storica e un pizzico di rimpianto, anche per la caratteristica cionfra dei suoi abitanti, termine intraducibile che allude allo spirito sarcastico e autoironico dei sassaresi, quasi cancellato dalla contemporanea omologazione culturale ma da Filigheddu gustosamente rievocato in alcune sue pièces teatrali.

Così come Rosa, nell’ufficetto del direttore dell’albergo Azuni, vede nei cartelli delle réclames sulle pareti «la rappresentazione vivace di ciò che era Sassari», l’autore, per tramite del suo personaggio, descrive della città l’aspetto, le innovazioni e la società in cui il ceto borghese, mercantile e industriale di provenienza forestiera, gradualmente ha preso il posto della nobiltà di antico ceppo ed è pronto ad allearsi ora coi monarchici, ora coi repubblicani o con entrambe le parti, pur di difendere i propri interessi. Ma anche l’emergere del nuovo ceto politico dei democratici, orientati al progresso e alla modernità, e i fermenti tardo-illuministici e post risorgimentali che animano un ristretto gruppo di religiosi e laici, osservanti verso la Chiesa ma, al tempo stesso, con una visione egualitaria dei diritti sociali.

ABILE INTRECCIO. Rosa interloquisce direttamente coi personaggi che hanno segnato la storia cittadina e della Sardegna dell’epoca: Beniamino Piercy, Pompeo Calvia, Enrico Costa, don Simone Manca, Giuseppe Giordano Apostoli e altri, e inserisce nella propria narrazione piccole digressioni storiche. Ciò, tuttavia, non distoglie l’interesse dal seguire, con curiosità sempre accesa, la complessa trama del romanzo, dall’apprezzarne l’abile intreccio e la vivacità della narrazione e del dialogo, per giungere poi, appagato, all’immancabile lieto fine.

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