La Nuova Sardegna

«Grazia Deledda, grande autrice classica»

di Costantino Cossu
«Grazia Deledda, grande autrice classica»

La scrittrice sabato prossimo sarà in Sardegna a Villacidro per ricevere il Premio speciale della giuria del “Dessì”

23 settembre 2021
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Dacia Maraini arriva in Sardegna per ricevere, sabato prossimo a Villacidro, il premio speciale della giuria del “Dessì”. Parla in questa intervista del suo ultimo libro, “La scuola ci salverà” (Solferino). Ma tocca anche altri temi: il suo amore per Grazia Deledda, considerata una grande classica del Novecento; la scrittura al femminile, che per l’autrice della “Lunga vita di Marianna Ucrìa” non esiste; delle bambine e della ragazzine afghane che i Talebani scacciano dalle aule scolastiche; della questione di genere ancora aperta non soltanto a Kabul ma anche nel cuore delle società occidentali; dei femminicidi.

La scuola dopo la pandemia: da dove ricominciare?

«La pandemia, un evento che nessuno si aspettava, ha fatto danni terribili, non soltanto nella scuola. Ma al di là del dolore, delle sofferenze, dei disagi materiali e dei traumi psicologici, la pandemia è stata anche un avvertimento. Guai se non ce ne rendiamo conto. Abbiamo toccato con mano quanto, di fronte alla natura, gli esseri umani siano deboli. Abbiamo sopravvalutato le nostre forze, pensando di essere al di sopra di tutto. Ma non è così. Le foreste che abbattiamo senza criterio, il mare che riempiamo di plastiche, le emissioni da fonti energetiche fossili che non riusciamo a ridurre… sono tutte cose insensate. E pericolose. Sono danni gravissimi ai delicati equilibri ecologici del pianeta. Danni che già stiamo pagando con i ghiacciai che si sciolgono, con le alluvioni sempre più frequenti, con gli incendi che devastano regioni intere, con l’aria avvelenata che nelle grandi città uccide. Danni che in futuro, se non impariamo a vivere in maniera differente, pagheremo a un prezzo ancora più alto».

C’è bisogno di una coscienza diversa su questi temi. E la scuola è importante per formarla…

«Assolutamente sì. Sono i bambini e i ragazzi di oggi che devono essere formati a un modo diverso di rapportarsi alla natura. Saranno gli adulti di domani e devono capire qual è il pericolo cui va incontro l’intero genere umano se non diamo una svolta alla situazione attuale. Il movimento di Greta Turnberg, questa ragazzina con la treccia che lancia l’allarme di fronte ai grandi del mondo, è un segno di speranza».

Lei va molto nelle scuole. Conosce bene i ragazzi. E nel libro sfata il luogo comune degli studenti sfaticati e senza interessi, tra i banchi soltanto per trascorrere il tempo…

«Vado molto nelle scuole perché mi invitano. Per me è un’occasione di dialogo. Ci vado soprattutto per ascoltare. Imparo molto. Lei ha ragione a richiamare l’attenzione sul luogo comune dei ragazzi pigri e svogliati, rincretiniti dai cellulari, dai social media e dalle playstation. È falso. Ovviamente nella scuola c’è di tutto, anche gli ignavi e i bulli. Ma sono una minoranza. I media vedono soltanto quella, mentre invece nelle aule c’è una maggioranza che studia, che ha voglia di apprendere, di capire, di maturare. La narrazione che le televisioni e i giornali fanno della scuola è lacunosa, parziale a volte distorta. C’è una rete di insegnanti che lavorano molto bene e che hanno capito una cosa importantissima: i ragazzi non sopportano più una visione piramidale della didattica, con il sapere che a senso unico scende dall’alto, dal docente al discente. Oggi gli studenti vogliono essere protagonisti del processo di apprendimento. Quando i professori capiscono questo i ragazzi rispondono benissimo, con entusiasmo. Poi, certo, ci sono anche gli insegnanti che non si impegnano oppure quelli che hanno una visione tradizionale, superata, del loro ruolo. E lì le cose vanno male. Ma le assicuro che sono una minoranza».

Viviamo in una società aperta dove la domanda di inclusione è forte. La scuola come risponde?

«Il nostro mondo è diventato fluido, i movimenti dei popoli sono un dato di fatto che non si può negare. Chiudere le frontiere non serve a niente. Ci troviamo di fronte a una realtà nuova che va affrontata con giudizio. La scuola è il luogo privilegiato in cui dar vita a un confronto vivo tra varie culture, nel segno del dialogo e della responsabilità sociale. Tanto di questo lavoro la scuola lo fa già. Specialmente alle elementari le classi sono piene di bambine e di bambini di origine straniera. In aula si impara a stare insieme secondo regole di convivenza civile e di rispetto dei diritti. Si formano i cittadini di una società aperta».

Lei è firmataria, insieme con molti altri importanti intellettuali e scrittori italiani, di un appello contro l’aziendalizzazione della scuola, che lei considera un male grave…

«Sì, è una brutta deriva, iniziata in epoca berlusconiana. Berlusconi, con la forza delle sue tv, ha diffuso un senso comune che ha cambiato in profondità la coscienza degli italiani. Una vera e propria visione del mondo è stata veicolata attraverso il piccolo schermo. Di essa fa parte l’idea che la scuola debba non soltanto funzionare come un’azienda, ma avere come criterio centrale del processo formativo le esigenze delle aziende, dell’economia nella declinazione liberista. La scuola deve produrre bravi lavoratori. Io dico, invece, che non deve produrre un bel niente. Deve formare. Sono due cose completamente diverse. Hanno trasformato i presidi in dirigenti. Ma se lei parla con loro, mica sono contenti. Sono tutti angosciatissimi. Perché invece di occuparsi di didattica sono messi lì a stare dietro ai conti, a impazzire dietro questioni burocratiche di tutti i generi. La scuola non è una fabbrica né deve servire alla fabbrica. Deve servire a formare cittadini, donne e uomini capaci di stare al mondo con un livello alto di consapevolezza di se stessi e della realtà che sta loro intorno. L’idea aziendale è proprio il rovescio della scuola, esattamente ciò che la scuola non dovrebbe essere».

Questa visione aziendalistica, ma anche i tagli. Una tenaglia terribile…

«Tagli selvaggi. Soprattutto con Letizia Moratti alla guida della Pubblica istruzione. Ma poi anche gli altri, compresi i governi di centrosinistra. Un disastro».

Che i Talebani tra le prime cose abbiano deciso che le bambine e le ragazze non devono andare a scuola che cosa significa?

«E’ la dimostrazione che la scuola è importantissima per la formazione e l’emancipazione di tutti, ma in particolare delle donne. I Talebani fanno così perché sono contro l’emancipazione delle donne. Ma anche noi nel nostro Occidente lo abbiamo fatto. La Chiesa cattolica lo ha fatto, a suo tempo. Le donne stavano a casa, a scuola non era necessario che andassero. Per secoli le donne non hanno avuto accesso all’apprendimento. E ancora oggi, anche nel campo dell’istruzione, le differenze di genere e le discriminazioni sono tutt’altro che finite».

Grazia Deledda. Si festeggiano i cento anni dalla nascita. Che cosa pensa dell’autrice di “Cosima”?

«È una scrittrice che amo molto. Quando vado all’estero per occasioni pubbliche e parlo delle autrici italiane, al primo posto metto sempre Grazia Deledda. Perché penso che sia una grande classica, che dovrebbe essere trattata molto meglio di quanto sia trattata dai libri scolastici, da gli accademici nelle università e in generale i critici».

Come spiega questa sottovalutazione?

«Ma perché è una donna. Ed è un fatto che non riguarda soltanto Deledda. Noi in Italia abbiamo avuto grandi donne scrittrici che in vita sono state apprezzate. Deledda dopotutto ha avuto il Nobel. E però quando queste autrici muoiono, scompaiono. Perché? Perché i critici non riescono a dare alle donne un valore universale, un valore di modello per le generazioni a venire. Grazia Deledda come Anna Maria Ortese, come Lalla Romano, come Fausta Cialente, come Elsa Morante. Grandi scrittrici che vengono dimenticate. Scatta un meccanismo di discriminazione attraverso la cancellazione della memoria».

So che a lei non piace molto parlare di scrittura femminile...

«La scrittura femminile, intesa come stile, semplicemente non esiste. Esiste piuttosto uno sguardo femminile sul mondo, che però non è un fatto di stile, ma è un fatto storico. Le donne hanno uno sguardo sul mondo che è conseguenza del ruolo che hanno avuto e che hanno in quel mondo».

I femminicidi. In molti chiedono un inasprimento delle pene. È d’accordo?

«Credo poco alle misure repressive. Bisogna piuttosto educare. Educare gli uomini a un rapporto diverso con le donne. Nessuno può essere proprietà di qualcuno. Questo è il punto. Vale soprattutto per le donne nei confronti degli uomini, ma vale in generale nei rapporti tra gli esseri umani».

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