La Nuova Sardegna

Addio a Debenedetti, raccontò il 900

di Paolo Petroni
Addio a Debenedetti, raccontò il 900

Maestro della narrazione breve. Guardava con disincanto al disfarsi di un mondo

06 ottobre 2021
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Il libro più bello, intenso e limpido di Antonio Debenedetti, critico e scrittore morto a 84 anni domenica notte, capace di contenere e dare una misura alla ragione e al sentimento è “Giacomino”, in cui riesce, dopo la sua morte, a fare finalmente i conti con l'ingombrante figura del padre, il grande studioso di letteratura Giacomo Debenedetti, con cui aveva avuto un rapporto ambivalente e profondo, assieme raccontando quella società culturale e letteraria che frequentava la sua casa negli anni della guerra e delle persecuzioni razziali (è del padre il celebre «16 ottobre 1943» sulla razzia degli ebrei dal ghetto di Roma) e poi della vivacità del dopoguerra a Roma. Così quel racconto personalissimo ma che sapeva trovare il tono per diventare più esemplare diventa un po’ il perno dell'avventura umana e letteraria di Antonio che comincia a scrivere a fine anni '60, quando oramai tutto è già cambiato. Il ritratto di “Monsieur Kitsch”, uno dei suoi primi racconti, attraverso il personaggio di Metello Rulli «romano come un abbacchio» che «si vantava uomo di spettacolo», espone al ridicolo tutta una certa volgarità e modo d’essere romano che era il contrario del mondo in cui si era formato lo scrittore, nato a Torino il 12 giugno 1937, della finezza con cui leggeva i libri degli altri e lo stile curato, studiato, ricercato della sua rigorosissima scrittura, che, come dimostra la raccolta di una vita “Racconti naturali e straordinari” pubblicato nei Classici Bompiani nel 2017, ne fa un maestro della narrazione breve, quella che in un particolare, in un momento, raccoglie un'aria generale, il senso di una vita. Questo non toglie che Debenedetti si sia anche misurato col romanzo, da “In assenza del signor Plot” a “La fine di un addio”, “Se la vita non è vita” (Premio Viareggio 1991) e “Un giovedì, dopo le cinque” (finalista Premio Strega 2000).

Nella prefazione di Cesare De Michelis alla raccolta si legge che Debenedetti è «scrittore moralista che guarda al disfarsi della società cui appartiene per storia, società e cultura, con disincanto e dissimulato disgusto, ma in cuor suo conserva la nostalgia vivida di un ordine infranto». E se il kitsch del mondo di fine anni ’60 dava la misura dell’involgarimento della vita borghese, questa nel nuovo millennio, nei racconti de “Il tempo degli angeli e degli assassini” è ritratta come altra e persa, oramai incapace di qualsiasi cambiamento, il cui orrore quotidiano è esploso in frammenti che è oramai difficile collegare per ottenere un disegno accettabile, o avere una qualche speranza.

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