La Nuova Sardegna

Daniele Pecci in Sardegna: «Porto in scena un Williams contemporaneo»

di Alessandro Pirina
Daniele Pecci
Daniele Pecci

A Sassari “Un tram che si chiama desiderio”. L’attore interpreta il ruolo di Stanley Kowalski 

12 gennaio 2022
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Il suo volto è super conosciuto al pubblico tv, da “Il bello delle donne” a “Orgoglio”, fino all’ultimo successo Rai, “Cuori”. Ma il teatro resta il suo primo grande amore. E anche questa volta Daniele Pecci porta in Sardegna il suo spettacolo targato Cedac. Negli anni scorsi si era misurato con “Scene da un matrimonio”, “Kramer contro Kramer”, “Amleto”. Ora è il turno di “Un tram che si chiama desiderio”, che porterà in scena oggi e venerdì (in matinée) al Comunale di Sassari e sabato a Carbonia nel ruolo di Stanley Kowalski. Al suo fianco Mariangela D’Abbraccio, che interpreta Blanche Du Bois, e con Giorgia Salari, Eros Pascale, Gabriele Anagni, Erika Puddu, Massimo Odierna, diretti da Pier Luigi Pizzi.

Pecci, quando ha scoperto il testo di Tennessee Williams?

«Quando facevamo la scuola di teatro uno dei pilastri era sempre il famoso monologo di Blanche, in cui anche noi maschi eravamo coinvolti anche se solo marginalmente. “Morto? Un uomo?”. Il nostro compito era solo quello di fare la battuta d’avvio al monologo, poi entrava l’attrice e partiva lei».

Chi è Stanley Kowalski?

«È un giovane uomo che probabilmente ha avuto una infanzia difficile. Figlio di polacchi in America, aveva subito forti discriminazioni. Per questo motivo era un uomo duro, violento. Non particolarmente intelligente ma furbo. E nell’opera ha una funzione ben precisa: essere il carnefice di questa donna, appunto Blanche».

È difficile misurarsi con Marlon Brando?

«Io non ho mai preso in considerazione l’idea di mettermi a confronto con Marlon Brando. Da un lato, per la sua grandezza. Dall’altro, perché noi mettiamo in scena il testo di Williams in modo contemporaneo e dunque non legato alla fine degli anni Quaranta».

Il testo di Williams è può essere considerato attuale? Mariangela D’Abbraccio ha detto che ora lo è più di 20 anni fa perché stiamo facendo passi indietro.

«Concordo con Mariangela sul fatto che oggi la nostra società abbia fatto passi indietro. Quanto al testo noi lo abbiamo tradotto, trasportato al mondo di oggi. Quelle che erano le condizioni della società americana degli anni Quaranta viene male tradurle in uno scandalo attuale. Non accadrebbero tutti quegli eventi se noi lo recitassimo come era scritto in origine. Da questo punto di vista, il testo non lo definirei proprio attuale».

Qualche anno fa disse: il pubblico della Sardegna è il più caloroso. Conferma?

«In Sardegna sono venuto tante volte, ho portato quasi tutti i miei spettacoli. Confermo quanto dissi allora. Ho sempre avuto a che fare con un pubblico attivo, ricettivo. Nel 2016 ho portato l’Amleto al Massimo Cagliari. Una settimana di grande pubblico con il teatro strapieno. La ricordo come una delle piazze più belle, più divertenti».

Il suo legame con l’isola?

«Fortissimo. Mio padre è un grande amante della Sardegna, vive sei mesi all’anno alla Maddalena. Per vent’anni ho fatto le vacanze nell’isola. Insomma, mi sento un po’ filo sardo».

Quando ha deciso: voglio fare l’attore?

«Grosso modo intorno ai 15 anni, ero alle superiori e partecipai a un corso di teatro all’interno della scuola. Ho subito intuito che potesse interessarmi e decisi di approfondire. Di lì a un anno e mezzo ero sicuro di voler studiare per fare l’attore».

La tv le ha dato la popolarità, ma il teatro cosa è per lei?

«Resta il motivo per cui faccio questo mestiere».

L’ultimo successo è la serie “Cuori” di Rai 1: è più impegnativo interpretare un medico in epoca Covid?

«Più impegnativo no, ma sicuramente molto interessante. In passato avevo interpretato altri medici, ma questa volta è stato più duro perché c’era il Covid. A Torino abbiamo fatto 6 mesi di vita da reclusi. Solo ed esclusivamente lavoro, poi ognuno nella propria casa senza potere vedere o incontrare nessuno. Ma considerata la tragedia che c’era intorno, noi dovevamo considerarci dei super privilegiati.

Al cinema ha lavorato con Risi, Ozpetek, Veronesi. Qual è il ruolo che le manca?

«Mi mancano tutti. La mia carriera al cinema deve ancora cominciare. Sto cerando di lavorare, di prepararmi per iniziare a fare un po’ di cinema come dico io. Fino ad adesso ho fatto piccole cose, per quanto con grandi registi e in film importanti, ma vorrei iniziare a fare cinema come si deve. Come già accade a teatro o in televisione».


 

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