La Nuova Sardegna

Costantino Nivola a New York: la grande avventura americana nelle immagini di Marco Anelli

di Giacomo Mameli
Costantino Nivola a New York: la grande avventura americana nelle immagini di Marco Anelli

Dagli attrezzi di lavoro importati negli Stati Uniti dal villaggio sotto Gonare  al Legislative Office Building di Albany sino alla Beach Channel High School

13 gennaio 2022
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Un libro fotografico con copertina d'arte. Sembra di avere tra le mani una scultura su una lastra porosa di basalto grigio e si capisce che sono pagine che portano in Sardegna. C'è una T maiuscola – incisa a martello e scalpello – per rendere onore a TINO, scritta in bianco come calce cotta di fornace. È bianco anche il sottotitolo, in lettere maiuscole “Nivola in America”. Al centro, in alto, un poro. A destra il nome dell'autore di settanta immagini, Marco Anelli, romano del '68 trasferito a New York, specializzato a Parigi e diventato maestro nella tecnica di stampa del bianco e nero. Immagini parlanti in omaggio al grande genio di Orani. I testi tutti in inglese, editor Silvana Editoriale (euro 35, dollari 40). Copertina che riporta ai temi classici, alla maternità, la Bibbia del laico Costantino Nivola. Quella T rappresenta il dettaglio della scultura (particolare del pube e pancia della donna) alla Beach Channel High School, Rockaway Park, della metropoli statunitense.

Subito una carrellata di attrezzi di lavoro, importati negli Usa dal villaggio sotto Gonare. E poi la grande spiaggia di Long Island dove nascono i capolavori «con l’utilizzo del sand-casting, la tecnica da lui inventata, giocando sulla spiaggia e spesso coinvolgendo l’altro amico e maestro Le Corbusier». Lo scrive Stefano Salis, giornalista sardo di Sant'Antioco, da anni nello staff di direzione de Il Sole 24 Ore. Salis firma sei pagine che raccontano un Nivola prima “muratore sardo” e poi diventato artista dei due mondi. Ricorda la «fuga di Nivola in America, a causa delle persecuzioni razziali fasciste che lo colpivano (in qualità di fiancheggiatore di alcuni esuli, in particolare sardi, che andavano a raggiungere Emilio Lussu e altri fuoriusciti a Parigi, dove Nivola aveva una salda base, una rete di amicizie e ormai una abitazione) e soprattutto la moglie ebrea Ruth Guggenheim: la soluzione dell’esilio era l’unica possibile, lasciando (e così perdendo per sempre) tutto il lavoro fatto a Milano: la destinazione era niente meno che il miraggio degli Stati Uniti». Sempre Salis ricorda un'intervista alla Rai del 1977 firmata da un altro artista, Tonino Casula, al quale “Titino” dice: «Io considero, qualsiasi cosa mi sia successa – ma anche se mi avessero fatto andare alla Luna con gli astronauti – il fatto di essere nato in Sardegna sarebbe rimasta la cosa più straordinaria, e più preoccupante, per me».

Ed ecco le fotografie, capolavori in travertino e cemento nelle piazze della Grande Mela, davanti a palazzi con la bandiera stelle e strisce con bambini che ci giocano attorno. E così alla Wise Recreation Area di Manhattan, nelle panchine del Rockaway Park trovate gli stessi bambini che a Orani si rincorrono e saltellano come fossero a Su Postu, a Su Patio o tra le case di Cunbentu. È il Nivola universale, quello che un suo grande amico, Ugo Stille, ex direttore del Corriere della Sera, aveva definito «il Fidia e il Michelangelo del ventesimo secolo». E se osservate le sculture del Legislative Office Building di Albany o quelle del Criminal Corthouse del Bronx potete fare un salto di 6800 chilometri e ritrovarvi tra le sculture bianche del palazzo del Consiglio regionale Quattro Mori di Cagliari o con i goielli di Piazza Satta a Nuoro.

Marco Anelli ha ben restituito la statura di Nivola. Vittorio Calabrese, direttore di “Magazzino Italian Art” (fondato da Giorgio Spanu di Iglesias e dalla moglie Nancy Olnick) scrive: «Il lavoro di Anelli va oltre la semplice rappresentazione dell'arte, fornisce informazioni su narrazioni personali e storiche, evidenziando le comunità che ne fanno da sfondo». Il critico d'arte Kevin Moore osserva: «Anelli coglie sia il dinamismo che l'atemporalità della pratica di Nivola, la sincronicità tra effetti naturali e forme artificiali” e cita la foto che “ ritrae le ombre proiettate da spogli alberi invernali che si estendono su una facciata riccamente decorativa».

Ridiamo la parola a Salis: « Nivola non è artista da museo o da galleria ma artista da opere pubbliche. Opere all’aria aperta, esposte alle intemperie, esposte e inscritte in un paesaggio, esposte alle persone, persino alla violenza imprevedibile degli eventi, come nel recente caso dei cavallini mutilati della Stephen Wise Recreation Area di New York (che speriamo vengano ripristinati). Prevede tutte le ragioni che servono a far interpretare correttamente un’opera d’arte dentro un contesto: la grandezza, la dislocazione geografica, la scala, la diversa angolazione, il materiale, la sua ruvidità o il suo esser liscio, la porosità della pietra, il colore, la variegata esposizione alla luce cangiante del giorno».

Nelle pagine che chiudono il libro una foto che commenta lo stesso Anelli dalla sua casa romana di Porta Pia: «Ero al Bronx, nelle vicinanze dell'aeroporto LaGuardia. Stavo osservando una delle opere più significative di Nivola. Ho potuto cogliere l'attimo: mi rendevo conto di essere davanti a una favola: aver di fronte, in contemporanea, la mobilità dell'aereo e la staticità della scultura in pietra, un dialogo sincronico fra due oggetti, uno creato dalla tecnologia più sofisticata, addirittura con la griffe di quel genio che era Leonardo, l'altro forgiato dalle mani di Nivola che è stato muratore a Orani, in un'isola dove l'arte è nata con le pietre di dolmen e nuraghi. Mentre stampavo quella fotografia immaginavo Nivola che su quell'aereo tornava nella sua Sardegna e intravvedeva quel monumento – sempre di pietra – creato in un'altra parte del mondo». Ancora Anelli: «Al Bronx ricordavo di aver fatto il fotografo ufficiale del Giubileo documentando tutte le sculture di San Pietro a Roma. Come dire che le pietre – basalto, granito, marmo, trachite – sono sacre, perciò diventano arte».

Proprio in linea con Stefano Salis che così chiude il suo testo: «Noi crediamo alle favole, alle porte di città meravigliose che si aprono, a uomini piccoli di statura e grandi di ingegno e anima che vengono da terre più esotiche della Luna e ci portano memoria e futuro, e messaggi di vita, luce, tempo. Pietre, sabbie e sogni». Sintesi perfetta nel titolo: “Da Orani a New York città aperta”.

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