La Nuova Sardegna

Addio alla fotografa Chiara Samugheo

di Paolo Curreli
Addio alla fotografa Chiara Samugheo

L’artista era legatissima all’isola: dopo aver immortalato le dive del cinema rese glamour gli abiti tradizionali sardi

14 gennaio 2022
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È morta Chiara Samugheo, grande fotografa delle dive negli anni ’60 e ’70, da Liz Taylor a Monica Vitti, da Shirley MacLane a Sophia Loren, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida. Non solo dive, Chiara Samugheo realizzò in gioventù anche fotoreportage giornalistici, come quelli sui sobborghi di Napoli, e lo straordinario racconto dal carcere della “regina degli zingari”. Era nata a Bari il 25 marzo 1935 (ma in molti sostengono che fosse del ’25: la data di nascita è stato uno dei segreti meglio conservati della sua vita). Il suo nome resterà per sempre legato alla Sardegna, non solo perché dietro consiglio del giornalista, grafico e suo compagno di vita Pasquale Prunas cambiò il cognome da Paparella a Samugheo, seguendo la dolcezza del suono del paese sardo, ma specialmente perché attraverso la relazione con Prunas si innamorò della Sardegna.

Una fascinazione che la porterà a percorrere l’intera isola, nei primi anni ’80, per documentare l’abbigliamento tradizionale, intrecciando profondi legami di amicizia, specie con l’avvocato cagliaritano Renzo Persico - che diverrà presidente del Consorzio Costa Smeralda - . Fu proprio Persico a far conoscere a Chiara l’artigiana della tessitura zia Grazia Pitzalis. Da questa amicizia partirà uno straordinario viaggio in cui la tessitrice condurrà la fotografa attraverso l’universo degli abiti tradizionali.

Le due donne recuperarono gli abiti più belli e le ragazze che lavoravano ai telai nel laboratorio di Grazia fecero da modelle. La sua capacità di lavorare da grande professionista le permetterà di costruire i suoi set straordinari - sempre in location complicate - e fare centinaia di scatti in poco più di sei mesi: un record. La ricerca fu lunga e ostinata, Chiara si faceva annunciare dal sindaco del paese che intendeva visitare, contattava i parroci che, alla fine della messa, invitavano chi possedeva un abito tradizionale a presentarsi all’appuntamento con lei per le fotografie. Nascerà un modo assolutamente nuovo di vedere il vestire antico, non più come sfilata della sagra.

I modelli posano nella natura con cui i colori degli abiti si incontrano o contrastano in un fraseggio di linee e tonalità, la presenza della fotografa - come capita spesso nell’opera di Chiara Samugheo - si percepisce con forza, non sono occhi invisibili che documentano la realtà rubando l’attimo, ma set perfettamente costruiti e pianificati secondo il volere dell’artista. Fili invisibili reggono le gonne, i colori del paesaggio sono studiati per dialogare con i tessuti. Da questa campagna nascerà il volume “La mia Sardegna”.

Così la ricorda Baingio Cuccu direttore del Museo Murats di Samugheo: «Ci lascia una grande della fotografia dei nostri tempi, una persona straordinaria che abbiamo avuto onore di ospitare nel nostro museo. L’ultima sua grande mostra sugli abiti tradizionali è stata allestita proprio da noi nel 2013. La mostra, dal titolo “La mia Sardegna”, rievocava il capolavoro “La mia Africa” della grande Karen Blixen come omaggio alla bellezza della natura e cultura dei popoli in una visione poetica che li lega alle proprie tradizioni. Le fotografie presenti erano tratte dagli scatti del reportage realizzato nei primi anni Ottanta in cui furono riprese, nel corso di un lungo viaggio, tante persone con gli abiti tradizionali».

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