Toni Servillo: «Deledda tra i grandi ma l’Italia l’ha quasi dimenticata»
Su Ariaferma: «A Sassari ho fatto un bagno di sardità». L’attore in scena con le letture dei testi del Nobel venerdì 8 luglio ad Arzachena e sabato 9 a Nora per i 40 anni della Notte dei poeti del Cedac
Toni Servillo legge Grazia Deledda. Vista così potrebbe sembrare un’accoppiata fortuita, figlia di un’importante rassegna estiva e del 150esimo anniversario della nascita del Nobel. Ma parlando con lo stesso Servillo, alla vigilia dell’anteprima ad Arzachena e della prima a Nora - entrambe sold out -, veniamo a scoprire che quest’incontro estivo con la scrittrice nuorese non è così occasionale, ma è anzi datato nel tempo, quando Titta Di Girolamo e Jep Gambardella erano ben lontani dal divenire il simbolo del miglior cinema italiano degli ultimi vent’anni.
«Nasce grazie agli organizzatori della Notte dei Poeti, su tutti Valeria Ciabattoni, che trattandosi dei 40 anni della loro manifestazione, mi hanno chiesto di fare alcune letture di Grazia Deledda. Io ho aderito con entusiasmo. Mi piaceva, da non sardo, potere leggere le parole di un’autrice sarda che ha fatto della natura qualcosa di universale».
«Ancora una volta faccio riferimento alla Deledda stessa nel discorso di ringraziamento per il conferimento del Nobel. Lei dice di avere (cita a memoria,
«Tra quelli che leggerò c’è una novella, “Le due giustizie”, che è molto commovente nel raccontare l’avventura di un povero cristo di fronte ai meandri e alle burocrazie tortuose della legge».
«La Sardegna della Deledda affonda fortemente le sue mani in qualcosa che storicamente si è modificato. Ma - anche da semplice turista - se mi allontano dal golfo dell’Ogliastra e salgo verso l’altipiano, o se mi avventuro in zone a me particolarmente care come il Nuorese, ritrovo molto di quello che ci ha raccontato».
«Grande determinazione e grande umiltà. Due qualità che oggi riscontriamo poco. La determinazione è spesso accoppiata all’arroganza e l’umiltà all’ipocrisia. Lei invece era umile e determinata allo stesso tempo».
«La ragione non gliela saprei dire, ma concordo che questa sia una mancanza, una colpa grave. Io sono un appassionato di letteratura italiana, in particolare meridionale, e in quella meridionale inserisco la letteratura sarda. Io annovero Deledda, come anche Mannuzzu e Satta, tra i grandi scrittori italiani».
«Tre esperienze molto diverse in cui la Sardegna entra in maniera diversa. Igort con la sua straordinaria fantasia ha fatto diventare le coste sarde - che nulla hanno da invidiare - in paesaggi caraibici. Sorrentino ha raccontato un aspetto della Sardegna di oggi, l’opulenza sfacciata della ricchezza. Mi sono invece sentito calato in una realtà tutta sarda quando Sassari ci ha accolto per le riprese di “Ariaferma”. Sono stati due mesi intensi, eravamo in pieno Covid, è stata l’occasione per intessere rapporti con gli attori locali e con gli ospiti del carcere ormai dismesso. Possiamo dire che l’esperienza maggiore di bagno nella sardità è stata proprio “Ariaferma”».
«Sarebbe un discorso molto lungo. Eduardo in una sua poesia diceva che Napoli è un teatro sempre aperto. Noi possiamo dire a cielo aperto. Io lo definisco una