La Nuova Sardegna

L’intervista

Toni Servillo: «Deledda tra i grandi ma l’Italia l’ha quasi dimenticata»

Alessandro Pirina

	Toni Servillo
Toni Servillo

Su Ariaferma: «A Sassari ho fatto un bagno di sardità». L’attore in scena con le letture dei testi del Nobel venerdì 8 luglio ad Arzachena e sabato 9 a Nora per i 40 anni della Notte dei poeti del Cedac

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Toni Servillo legge Grazia Deledda. Vista così potrebbe sembrare un’accoppiata fortuita, figlia di un’importante rassegna estiva e del 150esimo anniversario della nascita del Nobel. Ma parlando con lo stesso Servillo, alla vigilia dell’anteprima ad Arzachena e della prima a Nora - entrambe sold out -, veniamo a scoprire che quest’incontro estivo con la scrittrice nuorese non è così occasionale, ma è anzi datato nel tempo, quando Titta Di Girolamo e Jep Gambardella erano ben lontani dal divenire il simbolo del miglior cinema italiano degli ultimi vent’anni.

Servillo, il suo primo “incontro” con Grazia Deledda?
«Lo ricordo con molta tenerezza. Ero poco più che adolescente e rovistando in una libreria di un mio cugino più grande trovai insieme ad alcuni libri di Pavese e al “Gattopardo”, quest’altro che si chiamava “Canne al vento”. Questi autori mi hanno introdotto ai piaceri della lettura».

Come nasce il nuovo incontro che la porterà in Sardegna?
«Nasce grazie agli organizzatori della Notte dei Poeti, su tutti Valeria Ciabattoni, che trattandosi dei 40 anni della loro manifestazione, mi hanno chiesto di fare alcune letture di Grazia Deledda. Io ho aderito con entusiasmo. Mi piaceva, da non sardo, potere leggere le parole di un’autrice sarda che ha fatto della natura qualcosa di universale».

Cosa la colpisce della scrittura, dei personaggi, delle ambientazioni di Grazia Deledda?
«Ancora una volta faccio riferimento alla Deledda stessa nel discorso di ringraziamento per il conferimento del Nobel. Lei dice di avere (cita a memoria, ndr) “ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo”. Credo non ci sia da aggiungere altro. Sempre semplice e diretta. Questa sua natura capace di mettersi in ascolto in una dimensione realistica, naturale e magica me la rende particolarmente cara».

C’è un testo di Deledda che l’ha colpita più di altri?
«Tra quelli che leggerò c’è una novella, “Le due giustizie”, che è molto commovente nel raccontare l’avventura di un povero cristo di fronte ai meandri e alle burocrazie tortuose della legge».

Similitudini tra la Sardegna di Deledda e quella di oggi?
«La Sardegna della Deledda affonda fortemente le sue mani in qualcosa che storicamente si è modificato. Ma - anche da semplice turista - se mi allontano dal golfo dell’Ogliastra e salgo verso l’altipiano, o se mi avventuro in zone a me particolarmente care come il Nuorese, ritrovo molto di quello che ci ha raccontato».

Che idea si è fatto di questa donna che partita da Nuoro riuscì a vincere il Nobel?
«Grande determinazione e grande umiltà. Due qualità che oggi riscontriamo poco. La determinazione è spesso accoppiata all’arroganza e l’umiltà all’ipocrisia. Lei invece era umile e determinata allo stesso tempo».

In Italia l’opera di Grazia Deledda non gode della giusta considerazione. Qual è la ragione secondo lei?
«La ragione non gliela saprei dire, ma concordo che questa sia una mancanza, una colpa grave. Io sono un appassionato di letteratura italiana, in particolare meridionale, e in quella meridionale inserisco la letteratura sarda. Io annovero Deledda, come anche Mannuzzu e Satta, tra i grandi scrittori italiani».

Toni Servillo e la Sardegna: “Loro” di Sorrentino in Costa Smeralda, “5 è il numero perfetto” di Igort nel Sinis e “Ariaferma” di Di Costanzo a Sassari. Che esperienze sono state?
«Tre esperienze molto diverse in cui la Sardegna entra in maniera diversa. Igort con la sua straordinaria fantasia ha fatto diventare le coste sarde - che nulla hanno da invidiare - in paesaggi caraibici. Sorrentino ha raccontato un aspetto della Sardegna di oggi, l’opulenza sfacciata della ricchezza. Mi sono invece sentito calato in una realtà tutta sarda quando Sassari ci ha accolto per le riprese di “Ariaferma”. Sono stati due mesi intensi, eravamo in pieno Covid, è stata l’occasione per intessere rapporti con gli attori locali e con gli ospiti del carcere ormai dismesso. Possiamo dire che l’esperienza maggiore di bagno nella sardità è stata proprio “Ariaferma”».

A Ulassai al festival dei Tacchi fece un omaggio a Napoli attraverso le parole delle più importanti voci partenopee: cosa è Napoli per la cultura italiana?
«Sarebbe un discorso molto lungo. Eduardo in una sua poesia diceva che Napoli è un teatro sempre aperto. Noi possiamo dire a cielo aperto. Io lo definisco una comédie française en plein air. Napoli è una città in cui la dimensione del recitare fa parte dell’armonia che i napoletani cercano sempre nella vita, a volte maldestramente, a volte furbescamente, ma il più delle volte è attraverso la grazia della commedia che cercano un’idea di stare al mondo».

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