La Nuova Sardegna

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“Mezzo giro di velluto” di Mirco Cogotti, un ragazzo sardo alla ricerca di se stesso

di Matteo Porru
“Mezzo giro di velluto” di Mirco Cogotti, un ragazzo sardo alla ricerca di se stesso

Il romanzo di esordio dell’autore di Sant’Anna Arresi, un viaggiatore che ha scelto Parigi

09 gennaio 2023
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Mirco Cogotti ha quarant’anni e alle spalle una vita in cui le cose non sono andate sempre secondo i piani. E allora ne ha definito altri, tutti per sé. Forse scrive anche per questo. E il suo libro d’esordio, “Mezzo giro di velluto” (Effetto edizioni, 384 pagine, 19 euro), è un romanzo di tradizione e innovazione, di commistioni e identità.

Che effetto fa esordire?
«Ho lavorato al romanzo senza sosta per sei anni. La fortuna ha voluto che alla fine trovassi un editore tanto sensibile da capire il mio impegno e altrettanto coraggioso da scegliere di pubblicarmi. Mi divertono le presentazioni: incontrare i lettori e raccontare come sia nata Santa Gisa (e i suoi confini) mi riempie sempre di una meravigliosa energia».

È una storia di visioni e coraggio. Sono due attitudini che rivede in se stesso?
«Sono un omosessuale cresciuto nella provincia sarda degli anni ’90: il coraggio per me è sempre stato una necessità, più che un’attitudine. Con gli anni è diventato uno strumento efficace: mi ha permesso di sbarazzarmi di situazioni o persone che non mi facevano stare bene, a costo di difficoltà e fallimenti. É difficile fallire in una società la cui narrazione è imbevuta di parole tossiche come “successo”, “obiettivo”, “traguardo”. Riuscire a vedere oltre questa cultura e immaginare un modello alternativo è una grande risorsa».

Ha detto di amare molto Grazia Deledda.
«Non solo: fra gli altri scrittori sardi a cui sono legato c’è Giuseppe Dessì. Il suo “Paese d’ombre” credo mi abbia ispirato nell’idea di raccontare una comunità. Un altro romanzo a cui tengo molto è “La casa degli spiriti” di Isabelle Allende. Ci sono poi Jane Austen, Natalia Ginzburg. E non ometterei neppure J.K. Rowling e Harry Potter. La letturaha la capacità di farci conoscere e mondi».

Ha girato tanto per il mondo. Cosa cercava?
«Una casa. Tra i venti e i trent’anni ho cambiato città in media ogni tre anni. Mi sono chiesto spesso se non fossi in fuga da me stesso. Poi sono arrivato a Parigi e ho capito che la mia non era stata una fuga, bensì una ricerca. E ho scelto di restarci nonostante le difficoltà. Oggi, quando viaggio e scopro un luogo nuovo lo faccio con gli occhi del me bambino cresciuto a Sant’Anna Arresi. Nel mio romanzo Giorgio Albert, il protagonista, fa una cosa simile alla mia. La sua libreria si mette al servizio della comunità e lui accetta le difficoltà e gli svantaggi che questo all’inizio comporterà».

Qual è il ruolo della cultura oggi?
«La nostra è una società chiusa in cui molti meriti sono il risultato di privilegi e fortuna. Il ceto sociale, l’educazione, il luogo in cui nasciamo condizionano ancora i nostri destini e la nostra felicità. Nell’estensione di certi privilegi fino a un loro utopico annullamento, la cultura gioca una battaglia importante, sebbene a volte rischi di diventare un ambiente elitario. Rendere la cultura qualcosa di più inclusivo contribuirebbe a migliorare la vita di molti».

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