La Nuova Sardegna

L'intervista

L’Italia tra Monti e Meloni: la politica come un film

di Alessandro Pirina
L’Italia tra Monti e Meloni: la politica come un film

Lucia Annunziata racconta gli ultimi 11 anni della Repubblica. «Opa, tradimenti, colpi di scena e il sistema è andato in tilt»

12 gennaio 2023
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Sei premier e sette governi. Lucia Annunziata racconta l’Italia degli ultimi undici anni. Ma il suo libro - “L’inquilino. Da Monti a Meloni: indagine sulla crisi del sistema politico”, edito da Feltrinelli - più che un saggio sulla Terza repubblica (mai nata) è a tutti gli effetti un romanzo ricco di approfondimenti, gialli, colpi di scena, rivelazioni inedite. Un racconto che parte dall’Italia sull’orlo del baratro che si affida a Mario Monti e si conclude, undici anni dopo, con l’ arrivederci e grazie a Mario Draghi dopo essere riuscito a raddrizzare la barca Paese. Undici anni in cui a Palazzo Chigi sfilano sei diversi premier, nessuno venuto fuori da elezioni politiche, tutti a capo di maggioranze eterogenee, il cui obiettivo è evitare che la destra prenda il potere. Anche mettendo il destino del Paese nelle mani del Ciampolillo di turno. Undici anni che, alla fine, si concludono con l’ascesa a Palazzo Chigi proprio di Giorgia Meloni, prima donna premier, forte del successo elettorale della sua coalizione di destra-centro.

Annunziata, a quale genere possiamo ascrivere il libro?
«Al genere della politica. Lo dico sempre che la politica è meglio dei film, non delude mai, tra colpi di scena e traumi. In particolare in questi anni. Basta vedere il tanto capitale umano che è stato bruciato. Le ultime elezioni per il Quirinale sono state il culmine del disordine istituzionale. Hai un presidente come Draghi, che qualcosa ha dimostrato di saperla fare, sulla carta ha il 94 per cento del consenso, si arriva alle elezioni e nessuno mette il suo nome sul tavolo, non si fa neanche una verifica».

Le elezioni per il Quirinale sono state la fiera dell’assurdo. Con aspetti anche divertenti.
«Io direi tragici, perché la politica è anche tragica. Quella che sembra una commedia degli equivoci raccontata dai noi giornalisti in realtà sul piano personale può essere molto difficile».

Il libro parte dall’uscita di scena di Berlusconi tra urla e insulti e si conclude con Berlusconi candidato alla presidenza della Repubblica: che immagine viene fuori del sistema politico, e dunque anche del Paese?
«Viene fuori un’immagine della politica che si avvita su se stessa. Il funzionamento delle istituzioni non è più in mano alle istituzioni. I premier sono nominati in maniera esterna rispetto a quello che dovrebbe essere il loro iter. Un tempo i partiti trovavano i numeri nell’emiciclo e lo presentavano al Quirinale. Qui la parte dei partiti è stata abolita. Ripeto, è una politica che si avvolge su se stessa tra opa, tradimenti, cambiamenti, gente come Conte che passa da destra a sinistra. C’è un ceto politico un po’ disperato. Ecco, mi piaceva l’idea di raccontare la disperazione personale. Renzi è stata l’opa più di successo che ci sia stata. Veniva da fuori e ha creato una corrente fortissima, è passato da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi, viene chiamato da Napolitano dopo essere stato avversato e scalza Letta. Ma quanto dura? Vorrei ricordare che quando entrò al governo si parlava di ventennio di Renzi».

Siamo nel 2011, Berlusconi si dimette, Monti è premier. Tutto avviene alla luce del sole, ma ancora oggi c’è chi parla di complotto: quale fu il ruolo di Napolitano in questa fase?
«Lo stesso Berlusconi allora mica denuncia il complotto. Quanto a Napolitano, ho lavorato anche al fianco di costituzionalisti e tutti concordano che in questi anni ci sia stato un rafforzamento del ruolo del Quirinale. Napolitano e Mattarella hanno svolto un ruolo surrogato dovuto al fatto che i partiti non funzionano più ma lo fanno in maniera diversa. L’asse su cui passa Napolitano è l’Europa e lui vuole dare forma a un Paese stabile. Per lui non era caduto solo Berlusconi, ma anche il bipolarismo aveva fallito, perché aveva prodotto radicalismo politico. Lui non dà l’incarico a Bersani perché punta alla Grosse koalition alla tedesca con Berlusconi. Napolitano è un vecchio comunista che, per quanto moderno e riformista, pensa che in certe circostanze il popolo vada guidato. La sua non è una ingerenza ma si assume la responsabilità. Ma il primo disfacimento del progetto di Napolitano è proprio la vittoria nel 2018 di M5s e Lega, i partiti antisistema».

Nel libro attraverso interviste anonime racconta retroscena inediti sulla nascita e la morte di questi governi.
«Ho impiegato tre anni a scriverlo. Mi sono detta: faccio qualcosa da manuale di giornalismo, andando a rivedermi tutte le fonti. Ho lavorato sui calendari parlamentari, sugli intrecci di date. E le interviste anonime, tutte registrate con l’accordo di chi me le dava e a disposizione del mio editore. Un sistema americano, molti libri sono fondati su questo metodo. Ma non ho intervistato i leader, loro mi avrebbero detto quanto sono bravi. Io ero interessata a raccontare, parafrasando Rino Formica, la” politica sangue e merda”».

Nell’agosto 2019 c’è il ribaltone e il M5s si allea con il Pd, ai tempi, il “partito di Bibbiano”.
«L’inizio della fine del Pd è stata quella. Fino a quel momento c’erano stati Letta, Renzi nel nome della responsabilità, ma poi arriva Conte, premier del governo sovranista, e tu te lo pigli? Lì la gente non capisce, il tatticismo non paga. E infatti il 25 settembre vince l’unico partito che si è tenuto fuori da tutto».

Se nel 2013 fosse nato il governo Bersani avremmo scritto un’altra storia?
«Se lui avesse avuto almeno la possibilità anche di schiantarsi forse non avremmo avuto le elezioni, ma di certo è in quel momento che passa l’idea che il governo non lo decidono gli elettori. Che è stata alla base della vittoria della destra».

L’avvento di Giorgia Meloni ha chiuso questi undici anni di inquilini a Palazzo Chigi.
«Invertire il percorso non è solo vincere e governare, ma anche riparare i danni subiti dal sistema dei partiti e da quello parlamentare. Ce la farà?».

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