La Nuova Sardegna

L'intervista

Debora Caprioglio: «Porto in scena l’Italia buonista. Paprika? Non lo rinnego»

di Alessandro Pirina
Debora Caprioglio: «Porto in scena l’Italia buonista. Paprika? Non lo rinnego»

L'attrice in tournée nell’isola diretta da Emilio Solfrizzi

07 marzo 2023
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Una commedia sul buonismo. Una pièce che punta l’indice, in modo ironico e dissacrante, su una società che sulla carta si dice pronta a tendere una mano verso chi ha bisogno, ritirandola immediatamente quando la richiesta di aiuto si fa più concreta. “Buoni da morire”, tratto da un testo di Gianni Clementi, è lo spettacolo diretto da Emilio Solfrizzi che si appresta a sbarcare nell’isola sotto le insegne del Cedac: domani a Olbia, venerdì ad Alghero, sabato a Tempio e domenica a Macomer. Protagonisti sono Debora Caprioglio e Gianluca Ramazzotti, nei panni di una coppia dell’alta borghesia che la sera di Natale decide di fare un po’ di beneficenza, ma poi l’indomani uno dei clochard aiutati, a cui presta il volto Pino Quartullo, si presenta a casa loro e si scopre essere un vecchio amico di gioventù.

Debora, possiamo dire che è una commedia su quello che oggi viene ribattezzato buonismo?

«Esatto. Il buonismo non è la bontà. Il buonismo è pensare di essere buoni finché non si presenta il problema dal vivo. Nei suoi testi Gianni Clementi cerca sempre di dissacrare i buoni sentimenti. È una commedia divertente ma anche amara».

Quanta verità c’è negli atteggiamenti di Emilio e Barbara?

«Emilio è un cardiochirurgo, Barbara fa la signora che è preoccupata per il figlio che si trova ad Amsterdam. È una coppia stanca, annoiata, pariolina. La notte di Natale vanno a portare da mangiare ai clochard nel colonnato di San Pietro e tornano a casa galvanizzati dalla loro buona azione, pronti a continuare con queste azioni di beneficenza. Tutto cambia quando l’indomani Ivano, un clochard loro vecchio compagno di liceo, suona il campanello di casa e si stabilisce nel loro salotto. Da lì parte tutto e tutti i buoni propositi iniziali vengono stravolti».

Arrivate in Sardegna per quattro tappe della tournée. Cosa sono stati per lei questi ultimi anni senza teatro?

«Questa commedia è stata proprio quella della rinascita, l’abbiamo allestita subito dopo la pandemia nel maggio del 2021. I teatri stavano timidamente riaprendo, provavamo con le mascherine, tamponi ogni 24 ore, ma avevamo voglia di ricominciare, pur sopportando qualsiasi sacrificio».

Che ricordi ha di quella ragazzina che si trovò catapultata a 17 anni sul set con un gigante come Klaus Kinski?

«È stato sicuramente un bell’ingresso nel mondo cinematografico. Ai tempi c’era ancora il cinema, oggi purtroppo tantissime sale hanno chiuso. Anche perché i film vanno quasi subito sulle piattaforme. Ed è un gran peccato».

Paprika di Tinto Brass: è un marchio difficile da cancellare o un pezzo del suo percorso artistico?

«È una tappa, non ho mai voluto né cancellarla né rinnegarla».

Con Francesca Archibugi cambia totalmente registro, ma poi dirada sempre più i lavori al cinema: c’è un perché?

«È stata senz’altro una scelta. Mi chiamò Mario Monicelli per “Una bomba in ambasciata” con Carlo Croccolo e Isa Barzizza e mi innamorai del teatro. È scoccata una passione per il palcoscenico, per il pubblico e ho dato priorità al teatro. Prendo impegni un anno, un anno e mezzo prima, mentre spesso dal cinema la chiamata arriva all’ultimo momento o quasi. Non me la sono mai sentita di prendermi un anno sabbatico. Ogni tanto riesco a fare qualcosa: questa estate ho girato “Next” di Giulietta Ravel, con Paolo Conticini, Alessandro Haber, Fabio Fulco, Barbara Bouchet. Un film corale che probabilmente non uscirà nelle sale».

In tv il successo arriva con “Non lasciamoci più” in coppia con Fabrizio Frizzi.

«Fabrizio era una persona straordinaria, come poche se ne incontrano nell’ambiente tv. Era un fratellone, sempre molto affettuoso, con grande voglia di imparare, anche perché quello non era il suo campo. Quella serie è rimasta un cult, ascolti altissimi. Come anche “Sansone e Dalila”: 10 milioni su Rai 1».

Grazie a Maurizio Costanzo invece è diventata conduttrice.

«Accadde per caso. Andai al Costanzo show e a Buona domenica per promuovere uno spettacolo teatrale e per un virtuosismo che non mi so spiegare - forse perché mancavo da tempo dalla tv - la mia presenza fece schizzare l’audience. Divenni così ospite fissa e poi l’anno dopo curai una rubrica all’interno di questo grande scatolone che era Buona domenica. Sono stati tre anni di divertimento, ma non ho mai pensato fosse la mia strada».

Se dovesse scegliere: un bel film o un bel programma tv?

«Un bel film perché resta. I programmi tv passano».
 

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