Alla scoperta di Mara, itinerari nel paese del Meilogu tra arte, storia, leggende e misteri
Un territorio dove si sono incrociati nel tempo le battaglie per il potere, amori contrastati e la religiosità popolara
Storia, leggenda, mistero, si intrecciano a Mara, in una trama che attraversa i secoli e arriva fino ai giorni nostri. Religiosità e battaglie, amori e vendette, civiltà antiche e tradizioni, hanno segnato il territorio, lasciando testimonianze di straordinario valore storico. Ad iniziare dal simbolo identitario per antonomasia di Mara: il santuario di Nostra Signora di Bonu Ighinu, straordinario sito di culto e di devozione. Ma il luogo del mito e del mistero per eccellenza rimane il vicino Castello di Bonvehi, eretto nel tardo XIII secolo dalla famiglia genovese dei Doria, su un’altura strategica che poi venne chiamata “Sa punta ‘e su Casteddu”, con funzione di avamposto militare. Di esso rimangono ormai solo i ruderi, che testimoniano però dell’imponenza dell’opera. A quella fortezza, e agli intrighi che fra le sue mura si ordivano, è dedicato il romanzo “Il Colle del Diavolo”, dello scrittore cossoinese Gavino Cossu (1844-1890), fra i massimi esponenti del romanzo storico in Sardegna. In esso si narra del marchese Lupo Doria Malaspina, signore del castello e uomo di terribile ferocia, che non si fece scrupolo di perseguitare e alla fine far morire la figlia Luisa, la cui unica colpa era l’amore per Guelfo di Donoratico, decapitato anch’esso dalla spada del marchese. Nostra Signora di Bonu Ighinu, probabile chiesa parrocchiale di un villaggio medievale nel XIII secolo, è giunta invece fino a noi in splendida forma, grazie al radicale rifacimento del 1797, quando la facciata della chiesa, con annessa scalinata, venne ricostruita e ampliata. «Sembra un prezioso retablo in stile barocco – ebbe a dire l’architetto Vico Mossa – per quei piedistalli sovrapposti e decorati, per le colonne arabescate, per il frontone, unico nell’Isola, ritagliato a punte». Ed anche in questo caso soccorre la leggenda, secondo cui la chiesa venne eretta sul luogo dove la Madonna apparve per chiedere agli abitanti di Mara e dei vicini villaggi, in perenne conflitto tra loro, di ristabilire le regole di bonu ighinau, del buon vicinato. Di qui il nome di Bonu Ighinu. Di grande interesse, sempre nella zona, la “Grotta di Filiestru”, il cui materiale rinvenuto attesta l’utilizzo del sito a partire dalla fase più antica del neolitico (6000 a.C.). Altrettanto importante è la grotta di “Sa Ucca de su Tintirriolu”, la Bocca del pipistrello. In essa sono stati rilevati tre stati archeologici: quello più superficiale della “Cultura di Monte Claro” (seconda metà del III millennio a.C.), il successivo della “Cultura di Ozieri” (4000-3300 a.C.), e quello più profondo alla “Cultura di Bonu Ighinu” (4000-3400 a.C.). Sempre riguardo l’archeologia, nel territorio di Mara sono stati censiti 17 nuraghi, alcuni ben conservati, altri ridotti a ruderi. Nel centro abitato, pregevole la parrocchiale di San Giovanni Battista, edificata intorno al 1700. Ha la facciata in stile barocco, ed un campanile di foggia assai particolare a forma ottagonale. Sempre in paese, la chiesa di Santa Croce, edificata nel XVII secolo. Da vedere i murales, e in particolare quello dedicato al grande poeta estemporaneo marese Francesco Sale. Importante il “Centro espositivo della civiltà contadina”, inaugurato nel 2007 ed ospitato in un’antica casa signorile restaurata ed adattata a spazio espositivo. E proprio in virtù della grande attenzione che Mara ha sempre riservato alla cultura tradizionale, il prossimo 19 agosto il Comune organizza la manifestazione “Mara pro s’amistade”, una rassegna folkloristica itinerante per le vie del paese, alla scoperta degli usi, dei costumi, dei piatti tipici locali. Partecipano i Merdules bezzos di Otzana, gli organettisti Lorenzo Chessa, Maria Antonietta Bosu, Alberto Caddeo, coppie in costume del gruppo folk Santu Giuanne Battista di Mara, Cossoine, Ittiri, Borore, Ottana, il Coro Bonuighinu di Mara, il Coro di Florinas. «Mara ha un grande patrimonio di cultura e di identità – dice il sindaco Paolo Chessa – e anche con queste manifestazioni intendiamo valorizzarlo».