La Nuova Sardegna

L'intervista

Laura Marinoni: «Il potere mascolinizza le donne perché le costringe a fare rinunce»

di Alessandro Pirina
Laura Marinoni: «Il potere mascolinizza le donne perché le costringe a fare rinunce»

L'attrice a Cagliari con “Maria Stuarda” insieme a Elisabetta Pozzi

27 novembre 2023
4 MINUTI DI LETTURA





Due regine del teatro nei panni di due regine della storia. Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi terranno a battesimo la stagione del Teatro Massimo di Cagliari, sotto le insegne del Cedac, con “Maria Stuarda”, celebre dramma di Friedrich Schiller che porta in scena l'antagonismo tra due regine - cugine e rivali nella lotta per il potere -: Elisabetta d'Inghilterra e Maria Stuarda, sovrana di Scozia. Sotto i riflettori le due grandi attrici che si alternano nei ruoli delle regine, in un gioco metateatrale per cui di volta in volta, sera per sera, ciascuna scopre che ruolo interpreterà per la regia di Davide Livermore.

Signora Marinoni, Maria ed Elisabetta, due donne di potere: in cosa somigliano e in cosa si differenziano?
«La cosa che le accomuna è sicuramente la solitudine del potere. Entrambe dovettero combattere non solo il nemico, ma anche al loro interno dovevano guardarsi bene attorno: Elisabetta era circondata da lord che in realtà volevano farla cadere, Maria Stuarda fu costretta a sposare il terzo marito, che aveva assassinato il precedente, perché era l’uomo forte del suo gruppo. E poi Elisabetta era la figlia di Enrico VIII, che mandò al patibolo mogli e amanti, e fu tenuta in scacco dalla sua discendenza: figlia bastarda del re e di Anna Bolena, che andò anche lei al patibolo, fu tenuta per un anno nella torre da Maria La Sanguinaria. Maria Stuarda, invece, divenne regina a soli cinque giorni di vita, fu anche regina consorte di Francia ed era destinata anche a diventarlo di Inghilterra. Due vite avventurose, affascinanti. Due donne fuori dal comune. Due figure che si respingono ma si attraggono, anche se non si videro mai».

La regina che preferisce?
«Data la sfida che ha fatto partire questo spettacolo sia io che Elisabetta Pozzi le abbiamo dovute studiare contemporaneamente. È stato molto difficile, perché è come se fosse un unico personaggio che si declina in modo diverso ogni sera. Due ruoli pieni di luci ed ombre. Non c’è una vittima né un carnefice».

Una cattolica, l’altra protestante. Passano i secoli ma la religione continua a essere fonte di scontri e di guerre.
«È un testo di grandissima attualità, benché sia stato scritto da un 26enne nel 1800».

Donne e potere: è la donna che si mascolinizza o il potere che si femminilizza?
«Io credo che per diventare persone di potere si debba rinunciare a una grande parte del proprio femminile, inteso come ascolto, accoglienza, mediazione. Questo credo sia piuttosto evidente. E quindi ovviamente vediamo donne che al potere si mascolinizzano. Anche se una donna di oggi non ha nulla a che fare con una del Cinquecento. Forse allora era molto più traumatico. Pensiamo a una figura come Elisabetta che rinuncia alla maternità, a tutto ciò che una donna può platealmente desiderare. C’è addirittura una leggenda secondo lui si dice che lei fosse un uomo, che fosse stata trovata una tomba di una piccola Tudor di 5 anni e forse fu questo il motivo per cui non si fece mai vedere nuda da nessuno».

Doppio ruolo equivale anche a doppia fatica?
«Anche quadrupla. Quando si fa questo lavoro che comporta uno sforzo eccezionale, anche di memoria, ti senti sempre sull’orlo del baratro. C’è sempre una specie di inquietudine e insicurezza, anche quando la parte la sai a menadito, che fa sì che lo spettacolo sia sempre di grande vitalità, perché è quasi impossibile ripetere sé stessi, annoiarti o fare annoiare il pubblico. È un grande privilegio perché mai come in questo caso mi rendo conto che il lavoro attoriale è stato eccezionale, profondo e privo di retorica. È anche divertente cambiare i panni. Se all’inizio preferivo Maria, la sentivo più nelle mie corde naturali, oggi sono una fan di Elisabetta, ironica e sfaccettata».

Nella sua carriera ci sono anche cinema e tv, ma il teatro predomina: scelta o caso?
«Il teatro è stato proprio un destino, non lo ho scelto io ma mi ha scelta lui, mi ha travolta. Poi ovviamente nella vita ci sono cose che succedono o non succedono. Quando ero giovane saltarono due o tre grandi occasioni al cinema, con mio grande sgomento dell’epoca. Adesso sono più serena perché soddisfatta del lavoro che faccio. E mi stupisco ogni volta che mi fermano per strada e mi dicono: “ma lei è Laura Marinoni”. Persone che magari fanno 200 o 300 chilometri per vedere lo spettacolo perché nella loro città non passa. Il successo è questo, non è la popolarità. Anche se io non mi precludo nulla. Oggi, però, per fare una serie ti chiedono una disponibilità di mesi, anche dieci, e io non me lo posso permettere».

In Primo Piano
Il fatto del giorno

Sassari-Olbia, c’è la proroga: sarà ultimata nel 2025

di Luigi Soriga
Le nostre iniziative