La Nuova Sardegna

La storia

Un gioiello a pochi passi da Dorgali, i tesori dell’eco museo S’Abba Frisca

di Federico Spano
Un gioiello a pochi passi da Dorgali, i tesori dell’eco museo S’Abba Frisca

Con oltre 30mila visitatori all’anno è una delle attrazioni del territorio. Il racconto di 2 fratelli, uno ingegnere e l’altro informatico: «Le reazioni positive dei visitatori ci incoraggiano. Nostro padre ha avviato la collezione circa 50 anni fa. Aggiungiamo ogni anno qualcosa e molti oggetti ci sono stati donati»

14 aprile 2024
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Avrebbero potuto scegliere di lavorare in qualsiasi parte d’Italia e del mondo, con le loro lauree in informatica e in ingegneria, e invece hanno deciso di restare in Sardegna, a Dorgali, a occuparsi dell’azienda di famiglia: l’eco museo S’Abba Frisca, un piccolo gioiello da 30mila visitatori all’anno, a metà strada tra la spiaggia di Cartoe e la grotta di Ispinigoli. Marcello Secci, informatico, il fratello Gianluca, ingegnere, con il fratello più piccolo, Pierandrea, hanno scelto di dedicare la loro vita all’azienda agricola di famiglia, trasformata nel corso di 50 anni in un museo dei mestieri, delle tradizioni, dei sapori, del costume e della tradizione barbaricina. La struttura è immersa un uno splendido scenario naturalistico, con cascate, corsi d’acqua, strutture secolari.

«Mio padre ha iniziato 50 anni fa circa, per passione, a collezionare e raccogliere materiale, come attrezzi agricoli e da lavoro: oggetti che con l’evoluzione tecnologica venivano ritenuti inutili, ma che per lui avano un grande valore - racconta Marcello Secci, che nell’azienda agricola fa da cicerone ai tantissimi visitatori, parlando perfettamente in inglese -. Ogni anno aggiungiamo qualcosa di nuovo al nostro museo, che si sviluppa in più strutture. Molti oggetti ci sono stati donati».

Il museo Il percorso per i visitatori inizia con la parte più antica, con la capanna del pastore e il recinto delle capre, su cuile. Poi c'è il magazzino delle scorte e l'officina del fabbro, con un enorme mantice dell'ottocento. Poi ci sono la cucina del pane carasau, dove vengono fatte le dimostrazioni per grandi gruppi e in occasione degli eventi, come il museo vivente di Pasquetta, o il primo maggio. A volte c'è il fabbro che forgia il ferro oppure viene mostrato come si fa il formaggio, altre volte viene riattivata con un asinello la macchina dell'ottocento per tirare l'acqua dal pozzo, la noria, una delle pochissime ancora in funzione in Sardegna. Continuando il percorso si arriva alla struttura più grande, dove ci son le camere da letto dell'ottocento, la sala della tessitura, con abiti sardi, diversi telai, le erbe tintorie, armi antiche, in particolare tre rarissimi fucili del 700, realizzati da un armaiolo di Tempio, e lunghi 165 centimetri. Ma anche le sciabole tipiche che l’uomo dell’Ottocento portava con sé, chiamate leppas de chittu. Nello stesso edificio c’è anche il torchio del 1600 per la produzione del vino, il frantoio delle olive del 1700. E poi, nell’ultima sala, attrezzi più recenti, come quelli del calzolaio, del falegname, con strumenti degli Anni 30 e 40, fino alla macchina per fare la gassosa e quella per fare le cementine (mattonelle decorate). Infine, c’è una zona dedicata agli animali, alcuni rari, come l’asinello dell’Asinara o la pecora nera di Arbus.

La storia I veri creatori di questo museo sono i genitori di Marcello, Portolu Secci e Laura Motzo, insegnante di Lettere e storia, che nel 2005 hanno deciso di aprire la struttura al pubblico. «Prima era giusto l'azienda che aveva un giardino con un museo all'interno - ricorda Marcello -. Gli amici la vedevano e apprezzavano, poi le scuole hanno iniziato e chiedere di visitarla e in poco tempo la passione di un collezionista è diventata una attività a tempo pieno con un numero di visitatori straordinario». Per fare un paragone, l’acquario di Cala Gonone fa mediamente 53mila visitatori all’anno, S’Abba Frisca, come già detto, arriva e 30mila e i numeri sono sempre in crescita. «Noi siamo cresciuti con S'abba frisca - conclude Marcello -, quando abbiamo aperto il museo eravamo abbastanza piccoli, per questo abbiamo deciso di studiare e crearci una alternativa, ma non avevamo voglia di stare chiusi in un ufficio tutta la vita. Lavoriamo tanto, è vero, ma lo facciamo per la nostra azienda. La cosa che ci ha spinti ad andare avanti, a parte la passione, è la reazione positiva dei visitatori».

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